Provocatoria iniziativa di un gruppo di programmatori russi, i quali, apparentemente per un compiere elaborato scherzo, hanno realizzato il sito web www.youhavedownloaded.com: questo sito, tramite una tecnologia “crawler” simile a quella utilizzata da Google per reperire pagine web, indicizza in un database accessibile al pubblico gli indirizzi ”ip” connessi ad alcuni famosi “nodi” (cosiddetti “tracker”) della rete BitTorrent, mostrando così con estrema facilità quali download stiano compiendo gli utenti connessi tramite tali indirizzi. Accedendo alla pagina con un programma Peer2Peer connesso ad un tracker BitTorrent tra quelli monitorati, la homepage del sito visualizza una lista, più o meno completa, di ciò che è in download tramite l’ip di riferimento. Non solo: inserendo un ip noto in una casella di ricerca, è persino possibile monitorare ciò che gli utenti dietro tale indirizzo stanno scaricando tramite il protocollo BitTorrent.
Al di là della ovvia curiosità, questa iniziativa mette a nudo una delle principali criticità della gettonata metodologia di “download” di contenuti BitTorrent: come tutte le reti di distribuzione, essa passa tramite snodi centrali, i “tracker”, che indicizzano periodicamente gli indirizzi ”ip” degli utenti ad essi collegati per consentire agli stessi di collegarsi (semi-)direttamente l’uno all’altro.
La limitazione tecnica di dover passare per uno snodo terzo, ironicamente, non fa che facilitare il lavoro di prevenzione dell’utilizzo per fini illegali del protocollo BitTorrent: è sufficiente, infatti, chiudere il tracker, oppure inserirne l’ip nella “blacklist” nazionale, per impedire il download illegale di contenuti protetti dal diritto d’autore.
Non a caso, durante il recente caso giudiziario “ThePirateBay”, una delle misure richieste ed autorizzate dai giudici è stata proprio quella di inibire agli utenti italiani non solo l’accesso al motore di ricerca di files illegali su rete BitTorrent, ma anche – e soprattutto – l’accesso al relativo tracker. Entrambe le attività, a mente della sentenza n.49437/2009 della Corte di Cassazione, costituiscono infatti quel “quid pluris” richiesto per la valutazione di illegittimità dell’attività di tali motori di ricerca: attività, insomma, che facilitano in qualche modo all’utente l’accesso a contenuti illegittimamente veicolati, e pertanto sanzionabili da parte delle Autorità competenti.
Ancora una volta, dunque, il “mito” del P-2P sicuro deve infrangersi con la dura realtà di un sistema che può registrare ogni mossa dei pirati digitali, per utilizzarla contro gli stessi.
(a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G.) 11 gennaio 2012
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