A distanza di una settimana dalla kermesse di presentazione della ricerca “Italia: a Media Creative Nation”, è possibile trarre un primo bilancio “mediatico” dell’evento. A livello televisivo, l’evento è stato seguito dai tg Mediaset, e non da quelli Rai, ma, dato il promotore dell’iniziativa (il Gruppo Mediaset), è – ahinoi –quasi comprensibile. La rassegna stampa è stata consistente e significativa, sia a livello di dispacci di agenzia sia di articoli sui quotidiani (vedi la sezione “Documenti” del sito www.italiaudiovisiva.it: dal nostro punto di vista, gli articoli che hanno colto meglio il senso del nostro progetto sono stati pubblicati da “il Sole 24 Ore” e da “Avvenire”), ma non si può non notare come le quattro maggiori testate che hanno nei lettori di sinistra il proprio target (“la Repubblica”, “l’Unità”, “Il Manifesto”, “il Riformista”) abbiano ignorato l’iniziativa: un bell’esempio di pluralismo. Talvolta, è sufficiente il “brand” Mediaset per determinare una sorta di rimozione meccanica, e finanche una “damnatio memoriae” ideologica. A livello di rassegna web, molti i richiami, prevalentemente al convegno ed alle prese di posizione di Calabrò. Diverte segnalare la cappellata dell’agenzia stampa Mf-Dj (peraltro rilanciata dal sito web del mensile “Prima Comunicazione”), che ha dato veramente i numeri, interpretando malamente alcuni dati spesi dal Presidente Agcom nella sua relazione al convegno, riguardanti stime sulle dimensioni delle industrie creative e sulla pirateria in Italia: cifre dapprima riprese dall’eccellente blogger Stefano Quintarelli, che, intercettato l’errore di Mf-Dj, ha corretto il tiro delle sue ironie (aveva commentato, il 5 ottobre, le stime di Calabrò titolando un suo intervento ” Agcom: Portate una calcolatrice! “ , per poi correggere, scoperto l’errore dell’agenzia stampa, con ” Serious fact checking: Ecco i numeri giusti del discorso del Presidente Calabrò ” ). Anche in queste materie, tutti auspichiamo una maggiore attenzione metodologica da parte dei giornalisti, onde evitare che si sparino numeri in libertà, distorcendo ad effetto tesi ed analisi. Una ricerca come quella promossa da Mediaset e realizzata da IsICult sembra poi vanificata, se si leggono poi le paginate intere che “la Repubblica” ha concesso il 9 ottobre a Stefano Bartezzaghi, che titola a piena pagina “Quelli che l’arte è gratis”, con un sottotitolo che è tutto un programma: “YouTube insegna che forse sta finendo l’epoca del “tutto ha un prezzo” (sorry, l’articolo non è disponibile online sul sito web de “la Repubblica”, e stranamente non è stato intercettato né nella rassegna stampa della Camera dei Deputati né in quella del Mibac…). Ancora una volta, un mix di demagogia e di retorica, per rinnovare la favola dell’internet magico… La riproposizione di una fenomenologia che Denis Olivennes già ben identificò nel suo saggio del 2008: “La gratuità è un furto. Quando la pirateria uccide la cultura” (Libri Scheiwiller), Secondo Olivennes (autore dell’omonimo rapporto realizzato su incarico del Governo Sarkozy, la battaglia per il consumo libero dei contenuti online è sostenuta da un’inedita “Santa Alleanza”, in cui i contestatori del capitalismo vanno a braccetto con i sostenitori dell’assolutismo di mercato: questi ultimi, “in quanto fautori del potere assoluto del consumatore, individuano nella potenziale ascesa delle aziende di telecomunicazioni e nel concomitante crollo delle prebende delle industrie tradizionali un’evoluzione sana e naturale dell’economia”. Il risultato è una “paradossale consociazione tra antimoderni e ultraliberali” (vedi “Italia: a Media Creative Nation”, pag. 72, nota 109)… Alla prossima. Angelo Zaccone Teodosi ( a.zaccone@isicult.it ). Roma, 12 ottobre 2011.