La “Google Tax” al vaglio di Germania e Francia: il “free riding” degli “aggregatori”

I legislatori di Germania e Francia stanno valutando l’adozione di misure dirette a colpire i profitti degli aggregatori di notizie su internet. Nonostante entrambe le proposte non facciano espressa menzione al colosso di Mountain View, appare chiaro che i provvedimenti, ove approvati, andrebbero a costituire una vera e propria “Google Tax”. Ed infatti i provvedimenti sono stati così denominati dalla stampa e dagli altri media.
I due Paesi, tuttavia, viaggiano a differenti lunghezze d’onda, per ciò che più specificamente attiene ai confini applicativi di tali proposte:
- in Germania, la proposta di cosiddetta Leistungsschutzrecht (“normativa sul copyright ancillare”) sembra rivolta in prevalenza a qualificare l’attività di aggregazione di notizie di stampa come licenza concedibile dall’autore/editore dei singoli contenuti, dando quindi allo stesso facoltà di richiedere il pagamento di adeguata remunerazione per la sua concessione;
- in Francia, invece, un progetto di legge, caldeggiato da alcune associazioni di editori, propone al Parlamento un più radicale intervento: trattare alla stregua di diritto connesso non solo l’attività di “news aggregator”, ma anche l’indicizzazione stessa delle notizie da parte dei motori di ricerca online, ampliando così notevolmente l’ambito di applicazione di tale ipotetica remunerazione autoriale.
Entrambi i progetti sono ovviamente a livello embrionale, e dovranno essere discussi dalle istituzioni di pertinenza.
Ciò che tuttavia ci sembra emergere è la chiara intenzione degli editori europei di porre un deciso freno al “free riding” degli aggregatori in generale, ed in particolare al principale “rappresentante” della categoria sulla Rete, Google.
Sinora, infatti, il ricavato dei banner pubblicitari e delle sponsorizzazioni sulle ricerche è sfuggito a tali dinamiche d’indennizzo, andando ad incrementare il fatturato del motore di ricerca per antonomasia.
Se però Google trae vantaggio (in termini di incassi pubblicitari) dall’aggregazione di contenuti prodotti da un certo editore/produttore/autore, è altrettanto giusto che l’editore dei contenuti originari possa reclamare una giusta parte del vantaggio economico, proprio come già succede per i video musicali su YouTube, in virtù di specifici accordi con le “collecting societies”.
A prima vista, la proposta di legge tedesca, il cui contenuto appare frutto dell’esperienza degli accordi di varie major multimediali con YouTube, ha buone possibilità di vedere la luce così come presentata, mentre non sono del tutto chiari gli effetti di una eventuale attuazione della proposta francese.
Ad oggi, nei singoli casi in cui un editore segnala a Google la presenza illegale di propri contributi sulla piattaforma blogger e sugli altri prodotti di hosting del brand, la società di Mountain View agisce rimuovendo i contenuti; in egual stesso modo, le richieste di rimozione di specifici siti web pirata dai risultati di ricerca, se appropriatamente motivate, sono attuate con diligenza da Google (soprattutto a seguito delle note vicende giudiziarie in materia).
Cosa succederebbe, tuttavia, se, grazie ad un atto di legge, una numerosa quantità di semplici risultati divenissero improvvisamente “potenzialmente a pagamento” per Google?
Due gli scenari ipotizzabili:
- scenario 1:
in un primo caso, invece di effettuare il pagamento dei relativi diritti, Google potrebbe introdurre filtri automatizzati per la rimozione dei risultati che comportano oneri economici: una tale predisposizione priverebbe però di senso la nozione stessa di “motore di ricerca globale”, e creerebbe una certa disaffezione per il mezzo, senza contare che, sinora, alle richieste di molte sue controparti processuali, Google ha sempre obiettato di non poter introdurre filtri automatizzati preventivi, perchè “costosi, liberticidi e poco efficaci”;
- scenario 2
nel secondo, e più probabile scenario, invece, Google potrebbe reagire proponendo ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea contro una tale misura, lamentando ingiusti ostacoli alla libertà di iniziativa economica.
Seguiremo dunque con la necessaria attenzione l’iter delle due proposte, per vedere se andranno avanti, e fino a che livello spingeranno il contrasto al “free riding dei contenuti editoriali in rete.
In Italia, intanto si attende che Agcom batta un colpo, dopo che Calabrò ha seppellito la proposta di intervento in materia di diritto d’autore online.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 28 settembre 2012

La Commissione Europea propone una Direttiva sulle licenze multi-territoriali per le opere musicali

Lo scorso luglio è stata resa nota la proposta di Direttiva della Commissione Ue  in materia di gestione collettiva dei diritti d’autore (documento COM(2012) 372 final).
Tale  proposta è volta a semplificare il regime di gestione delle licenze e a stabilire le condizioni alle quali è possibile (ma anche necessario), per le società di gestione collettiva, assicurare ai titolari dei diritti la possibilità di diffondere i propri diritti musicali attraverso un sistema di licenze multi-territoriali online.
La proposta si basa sul principio di “libera circolazione” dei servizi all’interno dell’Unione e, da una parte, stabilisce i requisti che devono avere le società di gestione collettiva per poter emanare licenze multi-territoriali; dall’altra, prevede che, trascorso un periodo di transizione senza che provveda la società di gestione collettiva, i titolari dei diritti possano direttamente provvedere a concedere licenze multi-territoriali (direttamente o tramite un intermediario).
Nel complesso, la direttiva (fermo restando che si tratta ancora di una proposta) appare convincente, nell’intento di modernizzare la gestione dei diritti sulle opere musicali.
Non si può tuttavia fare a meno di notare come non vi sia un pari grado di  avanzamento nelle proposte che riguardano la gestione collettiva dei diritti audiovisivi, il che favorisce l’appropriazione sulla base di regole contrattuali difficilmente contrastabili, da parte di realtà sovranazionali, nell’assenza di riferimenti certi sull’appartenenza e politiche moderne di licensing armonizzate a livello europeo ed internazionale.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G.) 20 settembre 2012

Copyright : tra vecchie e “nuove” Hadopi, la Kroes invoca l’“ammodernamento”

Durante il Summit 2012 sulla proprietà intellettuale e l’innovazione, tenutosi a Bruxelles lo scorso 10 settembre, la Commissaria Europea per L’Agenda Digitale, Neelie Kroes, ha insistito molto, nella sua relazione, sulla necessità di un ammodernamento della Direttiva in materia di Copyright. La Direttiva sul Copyright, sottolinea la Kroes, è stata adottata nel 2001, sulla base di una proposta della Commissione Euopea del lontano 1998. Ma, nel mentre, sono intercorsi cambiamenti epocali nel settore. Basti pensare ad un social network come Facebook (allora Zuckerberg era quattordicenne, oggi la sua “creatura”, Facebook, conta quasi 1 miliardo di utenti attivi) o a YouTube (oggi, ogni secondo viene caricata 1 ora di video) allora inesistenti. E lo stesso accadeva per quanto concerne l’ambito musicale. Alla fine degli anni ’90 la musica si ascoltava per radio o su cd; oggi il supporto fisico sta quasi scomparendo grazie allo streaming e al downloading. La Kroes ha concluso il suo intervento esortando ad agire, adesso, per gli artisti, i consumatori e l’economia in generale.

Nel mentre negli Stati Uniti sembra esser pronta quella che viene definita “Hadopi d’oltreoceano”. Un provvedimento basato su 6 avvertimenti  che ha l’obiettivo di punire l’attività di downloading o condivisione di file pirata.

Jill Lesser, nominato a capo del nuovo “Center for Copyright Information”, intende sottolineare che questo sistema servirà soltanto a fini educativi e che rimanda all’Hadopi francese soltanto perchè simile nella struttura. Al momento appare difficile pronunciarsi, anche perché non sembra possibile acquisire informazioni più specifiche che consentano di comprendere a pieno il sistema di funzionamento. Il tentativo sarebbe quello di far comprendere i rischi del downloading illegale alle giovani generazioni, che sono quelle che maggiormente ricorrono a “scaricamenti” pirata. Ovviamente però ci saranno anche delle sanzioni e punizioni, che spetterà però ai vari operatori stabilire.

Tornando invece nel “vecchio continente”, ancora nel mirino l’Hadopi francese. Con l’arrivo del nuovo Presidente Hollande il sistema basato sui 3 avvisi (tanto caro a Sarkozy) ha iniziato a vacillare. E da diversi mesi il futuro dell’Alta Autorità dalla quale ha preso nome la legge, appare incerto. Ma la polemica si riaccende all’indomani della prima condanna del tribunale: 150 euro di sanzione per un giovane quarantenne accusato di aver scaricato alcuni brani musicali in maniera illegale. Che senso ha mettere in atto una macchina burocratica così costosa (ben 11 milioni di euro l’anno) se poi, a conti fatti, i risultati concreti sono così deboli???, si domanda (giustamente) il Ministro per la Cultura, Aurelie Filippetti.

 

(a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E.) 17.9.2012

Approvata la “Lex Google” tedesca, anche la Francia si desta ?!

La notizia è importante, ma i media italiani non le hanno attribuito la necessaria attenzione.
Lo scorso 30 agosto la controversa questione della “tutela del diritto d’autore nell’era digitale” è tornata alla ribalta sulla stampa internazionale a causa della legge, approvata dal governo tedesco, volta a tutelare i diritti d’autore degli editori di giornali “online”.
Il provvedimento, meglio noto come “Lex Google”, obbligherebbe i motori di ricerca (Google in primis) a versare un compenso agli editori, essenzialmente per il servizio Google News. La norma intende garantire un’equa partecipazione ai compensi che il gigante di Mountain View ottiene, a detta di molti, in modo “parassitario”.
Come prevedibile, l’opinione si è spaccata di fronte al provvedimento: da una parte, l’ampio sostegno degli editori tedeschi e dei simpatizzanti di una tutela forte del diritto d’autore; dall’altra, forti critiche provenienti dal partito “verde” e da quello “pirata”.
Google, subito dopo l’approvazione del provvedimento, ha commentato che si è trattato di un “giorno nero” per la rete.
Il Ministro tedesco della Cultura Bernd Naumann (del partito “cristiano democratico”) ritiene che il governo abbia fatto un passo importante per la tutela del diritto d’autore nell’era digitale.
A distanza di 10 giorni, anche la Francia è “insorta”: gli editori francesi pretendono quindi una legge che faccia pagare ai motori di ricerca per l’utilizzo dei loro contenuti. I responsabili delle testate “Nouvelle Observateur”, “Figaro” ed “Echoes” hanno richiesto un progetto di legge al governo, sul modello – appunto – della “lex Google” tedesca.
Francis Morel, Presidente e Direttore Generale di “Echoes”, ha dichiarato che questa legge andrebbe ad intaccare soprattutto il gigante di Mountain View, che pesa sul mercato per oltre il 90 % per quanto riguarda la ricerca “online”. Le critiche di Morel si sono poi dirette sulla questione dell’evasione fiscale di “Big G”, che – come è noto – ha sede in Irlanda.
Marc Feuillée, Direttore Generale del Groupe Figarò ha precisato che, diversamente da quella tedesca che riguarda gli aggregatori di notizie come Google News, la proposta di legge francese punta al mercato della “web search”, in particolare quella di contenuti. Feuillée sostiene che il testo potrebbe esser sottoposto al Parlamento e divenire legge entro fine 2012, con operatività fin dal 2013.

Post-scriptum. Va precisato che il Governo presieduto da Angela Merkel ha approvato un disegno di legge, che deve comunque essere sottoposto al vaglio parlamentare, e secondo alcuni osservatori, al di là della maggioranza di governo, il provvedimento dovrà affrontare nel Bundestag un iter faticoso, ben oltre la prevedibile resistenza del Partito dei Pirati (ovviamente) e del Partito dei Verdi.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 12 settembre 2012 

 

La strana “mossa” di Google contro la pirateria: “penalizzerà nei risultati di ricerca” i siti di “sharing” illegale

Google “penalizzerà nei risultati di ricerca” i siti dediti al file sharing illegale: questa la strana “mossa” nella sua dichiarata “lotta alla pirateria”…
Qualche giorno fa, il motore di ricerca di Mountain View ha annunciato (con un comunicato pubblicato sul proprio blog ufficiale, all’indirizzo: http://insidesearch.blogspot.com/2012/08/an-update-to-our-search-algorithms.html) che darà seguito alle analisi compiute qualche mese fa sullo stato del web, e metterà in campo una nuova revisione del proprio algoritmo di ricerca, specificamente studiata per contrastare la pirateria audiovisiva.
A partire dalla settimana scorsa, Google terrà traccia del numero di valide notifiche di violazioni del copyright che riceve avverso un determinato sito web, e lo penalizzerà nei risultati di ricerca, qualora il numero dei reclami fondati sia di rilevante entità.
Sulla carta, dunque, il metodo è studiato per ridurre la visibilità di molti siti web specificatamente dediti al file sharing illegale.
Non è però ancora chiaro lo scenario che si andrà a delineare, a seguito di una segnalazione:
- in caso di segnalazione infondata nei contenuti, ma corretta nelle forme, un meccanismo di automatico “declassamento” del sito web nella lista dei risultati di ricerca su Google potrebbe arrecare al sito web gravi danni, sia in termini di visibilità sia di sostegno economico dai propri eventuali sponsor pubblicitari;
- in caso di segnalazione corretta sia nelle forme che nei contenuti, invece, è lecito chiedersi quale sia la ragione per cui la penalizzazione si limiti ad “abbassare” il sito web nei risultati di ricerca, invece di rimuoverlo del tutto dagli stessi, come oggi fa il motore di ricerca.
Al di là degli annunci, in attesa di verificare come si comporterà nella pratica il colosso delle ricerche online, possiamo solo rilevare che il nuovo meccanismo sembra studiato per approfondire, in un certo qual modo, il controllo sui risultati di ricerca e velocizzare l’esito delle segnalazioni, al tempo stesso evitando di porre in essere quelle misure preventive e capillari di controllo richieste da vari player del mercato dell’audiovisivo, che priverebbero Google della posizione di “mero tramite”, su cui ha sempre basato tutte le proprie difese dianzi ai tribunali europei ed internazionali.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G.) 18 agosto 2012

Megaupload: un aggiornamento sullo stato del caso

Torniamo a ragionare nuovamente del “caso Megaupload”, per fare il punto della situazione, a quasi sette mesi dalla maxi-operazione internazionale, capitanata dall’Fbi, che ha portato alla chiusura del colosso del cosiddetto ”cyberlocking”, dei circa 16 domini internet ad esso collegati, ed all’arresto del suo fondatore.
Mr. Kim Schmitz (meglio noto come “Kim Dotcom”), padre di Megaupload e principale indiziato dei molteplici reati contestati al sito (dall’infrazione sistematica del copyright alla frode finanziaria, passando per una miriade di altre gravissime accuse), ha da poco ottenuto gli arresti domiciliari nella sua lussuosa villa in Nuova Zelanda, ed attende che l’Alta Corte neozelandese si pronunci sulle insistenti istanze di estradizione formulate dagli Stati Uniti, ma sembra aver ripreso le proprie attività.
In primo luogo, Dotcom ha annunciato il suo ritorno al web con “Megabox”, una nuova piattaforma in abbonamento tuttora in fase di sviluppo, concepita per permettere agli artisti che vi pubblicheranno i propri contenuti di vendere l’accesso agli stessi con bassi costi di intermediazione (senza dunque passare per le major discografiche ed audiovisive). La continuità con i precedenti progetti telematici di Dotcom sarà in un certo senso garantita dall’annunciata gratuità del primo anno di abbonamento a Megabox per tutti gli ex-abbonati di Megaupload.
La seconda iniziativa viene portata avanti da Dotcom tramite il proprio account Twitter: tramite tale canale l’ideatore di Megaupload ha a più riprese accusato l’Fbi e le autorità neozelandesi di aver posto in essere il sequestro di tutti i suoi beni (online e non) sulla base di “gravi errori procedurali”, che, se adeguatamente considerati dalla magistratura, porterebbero, a suo dire, all’immediata dichiarazione di nullità degli ordini di sequestro. Su questo fronte, tuttavia, gli inquirenti hanno già dichiarato che gli errori procedurali sono già stati corretti, e che nulla di quanto dichiarato da Dotcom potrà portare al dissequestro dei beni, trattati a tutti gli effetti come “prove e/o proventi di reato”. Intanto, la società di hosting Carpathia continua a trattenere, per ordine dei giudici circa 25 petabytes di materiali afferenti al caso Megaupload.
Una ulteriore mossa di Schmitz ha infine connotazione politica. Ha pubblicato un video su YouTube e tramite il nuovo sito web www.kim.com, in cui lancia  accuse (a suon di musica) all’amministrazione Obama, accusando il Presidente degli Stati Uniti di essere “ostaggio delle major discografiche” e di aver sostenuto progetti come Acta, Sopa e Pipa per “asservire il web ai produttori di Hollywood”. “La guerra per il web è cominciata”, inneggia “kim.com”, mentre si susseguono a video immagini dei manifestanti pro-Anonymous.
A prescindere dal tono, come sempre provocatorio, delle dichiarazioni del presunto “guru del file-sharing”, i contenuti del video e del sito web sono quantomai ambigui e non sembrerebbero preludere ad una effettiva entrata in politica: è difficile, insomma, comprendere se lo scopo di Schmitz sia davvero quello di ergersi a “paladino della libertà indisciplinata del web”, o se non si tratti dell’ennesima messa in scena orchestrata al solo scopo di raccogliere donazioni per il rilancio delle proprie attività sul web.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 24 luglio 2012

Dalla Ue una Direttiva verso le “collecting society senza frontiere”

L’11 luglio il Commissario Europeo per il Mercato Interno, Michel Barnier, ha dato notizia, durante una conferenza stampa, di una proposta di Direttiva, di cui è principale promotore, volta alla modernizzazione e ad una maggiore efficienza delle società di “collecting” in Europa. Barnier ha sostenuto “In Europa abbiamo bisogno di un mercato digitale unico, al servizio dei creatori, dei consumatori e dei fornitori di servizi. Il miglioramento del funzionamento delle società che assicurano la gestione collettiva dei diritti d’autore permetterebbe ai fornitori di servizi di realizzare più facilmente servizi accessibili oltre le frontiere, cosa che è nell’interesse dei consumatori europei e della diversità culturale”. Obiettivo principale dell’Ue è quindi quello di un “mercato unico” che faciliti l’acquisizione dei diritti da parte degli operatori che lavorano a livello comunitario. Si verrebbe quindi a creare una sorta di “licenza unica europea” per la gestione dei diritti.

La proposta ha due obiettivi complementari: promuovere una maggiore trasparenza e migliorare lagovernance” delle società di gestione collettiva, introducendo obblighi di informazione più rigorosi e rafforzando il controllo delle loro attività da parte dei titolari di diritti e incoraggiare e agevolare la concessione di licenze di diritti d’autore multi-territoriali per l’impiego di opere musicali online nei paesi dell’Unione.

Il Commissario ha aggiunto: “i bisogni attuali sono differenti da quelli del passato e le società di collecting devono adattarsi al cambiamento. La domanda online cresce a ritmi incredibili, così come la rinnovata richiesta di governance e trasparenza. In passato i produttori di dischi compravano i diritti e poi vendevano prodotti; oggi se iTunes vuole mettere online un brano in tutta Europa, deve ottenere l’autorizzazione di ben 27 Paesi, senza menzionare i detentori di diritti. Questo complesso meccanismo è quello che noi vogliamo semplificare.”

Si ricorda che nel 2010 il mercato della musica digitale è cresciuto, in Europa, del 22 %, a fronte di un modesto + 4 % degli Stati Uniti.

La Europarlamentare francese del Ppe Marielle Gallo si è espressa a tutto favore della proposta, sostenendo che questa riforma porterà vantaggi soprattutto agli artisti e ai consumatori. Sulla base della nuova normativa infatti, gli autori e i detentori di diritti dovranno essere pagati entro 12 mesi. E le “collecting” che decideranno di concedere la licenze multi territoriali dovranno adeguarsi agli standard previsti dall’Ue.

In Italia, Enzo Mazza, Presidente di Scf (il consorzio che opera nella raccolta dei diritti musicali dei produttori discografici), ha dichiarato: “Importante passo in avanti nello sviluppo di un settore che rappresenta quasi il 25 % del mercato della musica in Italia. La Commissione ha stabilito regole di trasparenza e di governance nell’amministrazione dei diritti che sono fondamentali in un’era, quella digitale, dove i diritti si frammentano sempre di più ed è necessario che ogni titolare possa ricevere proventi sulla base delle effettive utilizzazioni”.

La Direttiva ha ricevuto il plauso anche della francese Sacem e della tedesca Gema. Si ricorda infine che la Direttiva proposta concorre al completamento di un mercato unico per la proprietà intellettuale e rientra infatti nella complessiva strategia della Commissione del 2011 sugli “ipr”.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 23 luglio 2012

“Italianshare”, ovvero quando la pirateria aggredisce (anche) la privacy

Nella giornata di oggi, 11 luglio 2012, la Guardia di Finanza ha dato applicazione ad una ordinanza del Tribunale di Agropoli, ed ha arrestato, dopo circa 6 mesi di indagini, il fondatore di “Italianshare.net” e di altri noti portali di pirateria audiovisiva digitale.
Tra i reati contestati a “Tex Willer”, soprannome digitale con il quale è noto il 49enne di Napoli, figurano non soltanto la fornitura illegale di “download/streaming” da piattaforme di “cyberlocking” (vale a dire di hard-disk virtuali in rete) e programmi “p2p”, ma anche l’illecita vendita del database di utenti registrati ai siti sequestrati, nonchè l’utilizzo di account PayPal esteri intestati ad ignari prestanome per la ricezione di donazioni dagli utenti iscritti, e la realizzazione di illeciti profitti da apposizione di pubblicità sulle pagine dei siti web illegali, per una evasione totale di circa 580.000 euro, oltre ad 83.000 euro di Iva.
A tali accuse si aggiungono, ovviamente, quelle per le numerose ed accertate violazioni amministrative del diritto d’autore, il cui “peso” è di ammontare compreso tra i 3 ed i 32 milioni di euro.
Il caso in esame vede innestarsi un ulteriore strato di illegalità su quello già grave della pirateria audiovisiva: non solo, dunque, “Tex Willer” guadagnava tramite banner pubblicitari dal “download/streaming” di terzi di opere protette da diritto d’autore/copyright, ma provvedeva sistematicamente a raccogliere in appositi database i dati degli utenti regitrati (nome utente, password, email, indirizzo ip di connessione), per poi rivenderli in rete al miglior offerente. Un atto di per sè illecito, in quanto compiuto senza acquisire alcuna autorizzazione da parte dei titolari dei diritti, nel dispregio assoluto di qualsiasi normativa, sia essa inerente il diritto d’autore che la privacy…

( a cura della Redazione di Italia Audiovisiva – G.) 11 luglio 2012

Alcuni aggiornamenti…

I primi mesi del 2012 hanno registrato picchi di attivismo dal punto di vista della lotta alla pirateria audiovisiva e musicale, tanto che alcuni giornalisti hanno ironizzato sulla presunta… “fine della pirateria”, anziché “fine del mondo” preconizzata dal calendario Maya per il 2012. Molti siti sono stati chiusi: da MegaVideo a MegaUpload, solo per citare i casi più rilevanti. Anche in Italia si plaude ad un anno da record per i sequestri di materiali piratati…

Se da una parte però si ottengono buoni risultati attraverso il blocco degli isp, dall’altra questa strategia sembra progressivamente perdere di efficacia, grazie a nuove modalità di aggiramento messe in atto per lo scambio di file illegali. In questo contesto, corre l’obbligo di segnalare alcune iniziative, una parte delle quali improntate ad una strategia  più “repressiva”, altre che contemplano invece modalità differenti di lotta ai pirati del web, basate più sulla stimolazione dell’offerta legale e sulla sensibilizzazione alla tematica.

Nel primo gruppo, spicca il caso del Giappone, Paese che ha recentemente inasprito le pene per coloro che downloadano materiali protetti. Si parla anche di… detenzione fino a 2 anni (!?!). Intanto, il Regno Unito annuncia un nuovo regolamento che Ofcom sta preparando, che ricalca la scia del modello francese basato sull’Hadopi. I nominativi dei pirati, dopo un certo numero di violazioni, verrebbero consegnati direttamente ai detentori dei diritti. Sembra comunque che il nuovo regolamento non entrerà in campo prima del 2014.

Sull’altro versante, si collocano invece Francia e Danimarca. La prima, complice il “passaggio di testimone” da Sarkozy ad Hollande, starebbe per abbandonare la tanto discussa Hadopi. Nel mentre, in occasione di una recente expo parigina rivolta all’infanzia, è stato presentato il super-eroe più odiato dai pirati, “Captain Copyright”. L’obiettivo è quello di sensibilizzare, fin dall’infanzia, in maniera divertente, i bambini sull’importanza della protezione dei contenuti e quindi insegnare loro che la pirateria è un male da combattere. Il supereroe “Captain Copyright” è stato ideato in Canada. Ancora non è certo, ma sembra ci sia l’intenzione di produrre anche una serie animata e dei fumetti che lo vedano protagonista. La Danimarca, invece, sta modificando il suo “piano d’azione”: dal versante punitivo sta “trasferendo” le proprie energie verso un approccio che favorisca lo sviluppo e la nascita di servizi legali. L’idea partirà, concretamente, con l’”Iinnovation Forum”, all’interno del quale chiunque voglia proporre nuovi modelli di business alternativo sarà ben accolto. La chiave di volta del “pacchetto pirata” (così è stata definita la strategia danese composta da norme ed iniziative volte a contrastare la pirateria audiovisiva), sarà basata sull’educazione dei consumatori.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva - E.) 10 luglio 2012

Bocciato “Acta”. La reazione delle industrie creative europee

Dopo molti mesi di “tira e molla” sul provvedimento “Acta” (acronimo che sta per “Anti Counterfeiting Trade Agreement”), e molte critiche e polemiche mosse da esponenti del “popolo della rete”, il 4 luglio 2012, il Parlamento Europeo ha respinto a grande maggioranza (478 deputati hanno votato contro, appena 39 a favore e 165 sono stati gli astenuti) l’accordo internazionale contro la contraffazione, perché ritenuto sostanzialmente lesivo delle libertà della rete e di alcune libertà fondamentali.

Si ricorda qui che le negoziazioni tra Stati erano iniziate (segretamente) già nel 2007, e che l’ultima versione di Acta è stata siglata a Tokyo nel gennaio 2012, da 22 dei 27 Paesi Ue e dagli Stati che già avevano già adottato il trattato dall’ottobre 2011 (l’Australia, il Canada, il Giappone, la Repubblica di Corea, il Messico, il Marocco, la Nuova Zelanda, Singapore, la Svizzera e gli Usa). Il Parlamento Europeo è stato chiamato a ratificare l’accordo il 26 giugno 2012. La ratifica è stata definitivamente respinta con la votazione del 4 luglio 2012.

La più grave accusa verso il trattato è stata identificata nella sua “vaghezza” di intenti, “segretezza” di gestazione, e quindi “pericolosità” per la tutela delle libertà individuali. A parere di molti, infatti, non è possibile riscrivere le regole fondamentali dell’Unione Europea attraverso negoziazioni vischiose, riservate, addirittura misteriose. La bocciatura quindi, più che all’Acta in sé, sembra esser stata rivolta alla sua genesi poco trasparente. L’accordo è stato fortemente criticato soprattutto perché oggetto di negoziati (troppo) riservati fra gli Stati, e quindi lesivo dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini, europei e non europei, al punto da innescare, nei mesi scorsi, una vasta mobilitazione internazionale.

Il trattato si prefiggeva un’azione di “lotta” generale contro la contraffazione, che partiva dai medicinali per arrivare alla pirateria audiovisiva. E la decisione della Ue è stata inesorabile, nonostante alcuni appelli invocassero di attendere il pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, chiamata, dalla stessa Commissione, ad esprimere un parere sul trattato. Nonostante questa decisione, plaudita dai difensori della massima libertà della rete, ma fortemente contestata dai rappresentanti delle industrie creative, il Commissario al Commercio Karel De Gucth ha ribadito la ferma volontà della Ue di dotarsi, al più presto, di un testo per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale. Ed ha aggiunto “continueremo a chiedere il parere giuridico della Corte di Giustizia sull’Acta, per comprendere se lede qualcuno dei diritti fondamentali dei cittadini europei. Servirà a stabilire come andare avanti su questo tema”.

Marco Polillo, Presidente di Confindustria Cultura Italia (Cci), ha evidenziato la contraddizione, ovvero il paradosso della scelta: Polillo contesta infatti la decisione dell’Unione Europea in quanto le norme contenute all’interno dell’accordo si trovano già nell’ordinamento italiano così come in quelli di molti altri Paesi firmatari. L’Acta aveva infatti soltanto un ruolo di “armonizzazione” dei differenti ordinamenti. E ancora, ha incalzato Polillo “è paradossale che i legislatori si riempiano la bocca parlando di politiche culturali, e contemporaneamente decidano di continuare a proteggere chi uccide la cultura e la creatività”.

Lo “scontento” e lo “sconforto” non è arrivato soltanto dall’Italia. Le principali associazioni europee dell’industria creativa, hanno diramato un comunicato stampa per spiegare le loro ragioni e i motivi della loro critica alla decisione della Commissione. Riteniamo quindi utile riprodurre, in calce, il comunicato nella sua interezza, segnalando che i firmatari appartengono ad alcune delle oltre 130 federazioni rappresentanti settori che danno lavoro a più di 120 milioni di persone nelle industrie di produzione innovativa e di creazione di tutta Europa, e che hanno firmato una lettera di sostegno all’Acta. Maggiori informazioni disponibili su www.actafacts.com

Le industrie manifatturiere e creative d’Europa reagiscono al voto del Parlamento europeo sull’Acta

Bruxelles, 4 luglio – Le imprese europee innovative dei settori manifatturieri e creativi ritengono che il voto odierno del Parlamento europeo sarà pregiudizievole per la proprietà intellettuale, l’occupazione e l’economia europee. Con questa decisione sull’Acta, l’Ue ha perso un’occasione per tutelare le sue industrie creative e innovative nel contesto del mercato internazionale. “L’Acta è uno strumento importante per promuovere l’occupazione e la proprietà intellettuale in Europa. Purtroppo, al Parlamento Europeo il trattato è partito con il piede sbagliato, e le sue motivazioni più autentiche e significative andranno perdute”, pronuncia Anne Bergman-Tahon, Direttrice della Fep (Federazione degli Editori europei), uno dei membri della coalizione di oltre 130 organizzazioni che sostengono l’Acta. Molti parlamentari europei avevano auspicato l’attesa del parere della Corte Europea di Giustizia per poter prendere una decisione definitiva. Frances Moore, Ceo dell’Ifpi, commenta: “A questo punto attendiamo la sentenza della Corte Europea di Giustizia, ed esortiamo il Parlamento europeo a fare dell’efficace tutela della proprietà intellettuale una delle principali priorità della nostra politica commerciale con i paesi terzi”. I diritti di proprietà intellettuale rimangono il motore della competitività globale dell’Europa e uno stimolo alla crescita dell’economia e dell’occupazione. Nell’attuale congiuntura economica la loro tutela è particolarmente importante oltre i confini dell’Ue. “L’Europa potrebbe avere colto l’occasione di sostenere un importante trattato che migliora le norme della proprietà intellettuale sul piano internazionale. Ci aspettiamo che l’Acta andrà avanti senza l’Ue, e sarà una perdita non da poco per i 27 Stati membri” afferma Alan C. Drewsen, Executive Director dell’Inta (International Trademark Association). Le discussioni sull’Acta rappresentano il maggiore negoziato multilaterale concluso nel quadro costituzionale dopo il Trattato di Lisbona. Secondo Thomas Boué, Director Government Affairs, Emea della Bsa (Business Software Alliance): “la violazione dei diritti di proprietà intellettuale rappresenta un problema enorme in Europa e esiste una necessita’ evidente di promuovere norme internazionali e migliori procedure per far rispettare i diritti della pi. Acta servirebbe come un importante passo in avanti nelll’elevare gli standard globali per la protezione dei diritti della pi. E’ un vero peccato che il trattato si sia impantanato in questioni inter-istituzionali e che questo tipo di considerazioni abbia alla fine pregiudicato l’intero processo”. Pur comprendendo gli sforzi del Parlamento europeo di essere visto come un organo attento alle preoccupazioni dei cittadini, le nostre organizzazioni, che rappresentano settori che danno lavoro a più di 120 milioni di persone in Europa, hanno sostenuto l’approvazione dell’Acta”, dice Jeffrey P. Hardy, Direttore di Icc-Bascap“Il Parlamento europeo dice no all’Acta ma sottolinea che il ’coordinamento globale della pi è indispensabile’. Rispettiamo questa posizione,” dice Johannes Studinger, a capo del sindacato globale UniMei. “In effetti, nell’economia digitale globale, la crescita sostenibile delle industrie creative richiede un’efficace tutela dei diritti di proprietà intellettuale. Ma le politiche di protezione prive di un forte impegno internazionale sono inefficaci. Chiediamo alle istituzioni europee di lavorare insieme anziché opporsi l’una all’altra trasformando l’impegno comune in politiche efficienti”. I soggetti che mettono in questione l’Acta invocano vari principi e preoccupazioni. “Purtroppo, il dibattito sull’Acta è stato inquadrato in termini di censura e di ‘smantellamento dell’internet’ piuttosto che in termini di tutela della base economica dell’occupazione in Europa,” dice Dominick Luquer, Segretario Generale della Fia (Federazione Internazionale degli Attori). “Contrariamente a molte dichiarazioni rilasciate, i diritti fondamentali della persona sono pienamente rispettati dall’Acta, e a questo proposito attendiamo con fiducia la sentenza della Corte Europea di Giustizia,” afferma Dara MacGreevy, Anti-Piracy Director dell’Isfe, che rappresenta il settore europeo dei video game. Guardando al futuro, siamo convinti che i politici europei debbano continuare il loro lavoro per la tutela in Europa e nel mondo dei diritti di proprietà intellettuale, che sono un pilastro dei nostri settori di produzione e innovazione. “Siamo incoraggiati dalle dichiarazioni fatte oggi al Parlamento europeo, che ribadisce che il voto di oggi non è un voto contro l’applicazione e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale. I settori di produzione e innovazione di tutta Europa guardano ora agli altri firmatari dell’Acta per la tutela dei loro diritti internazionali,’ dice Alberto Paccanelli, Ceo, Presidente di Euratex (Organizzazione Europea per il Settore Tessile e Abbigliamento).

 

I firmatari del comunicato sono:

- Acg (The Anti Counterfeiting Group)

- Act (Association of Commercial Television in Europe)

- Aim (European Brands Association)

- Bascap (Business Action to Stop Counterfeiting and Piracy)

- Bsa (Business Software Alliance)

- Euratex (the European Apparel and Textile Confederation)

- Fep (Federation of European Publishers)

- Fia (The International Federation of Actors)

- Ifpi (International Federation of the Phonographic Industry)

- Inta (International Trademark Association)

- Isfe (Interactive Software Federation of Europe)

- Mpa (Motion Picture Association)

- Uni Global Union.

 

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 6 luglio 2012

A Bruxelles si è discusso di “enforcement”

Segnaliamo e riproduciamo a seguito l’articolo che abbiamo pubblicato sul sito web del mensile del gruppo Il Sole 24 Ore “Millecanali”, nell’edizione del 7 maggio 2012. Il titolo originale è “Un seminario sulla proprietà intellettuale a Bruxelles”.

A Bruxelles si è svolto un seminario della Commissione Europea, nell’ambito della nuova direttiva in gestazione sui diritti di proprietà intellettuale: le ragioni degli autori e produttori di contenuti.

http://www.millecanali.it/un-seminario-sulla-proprieta-intellettuale-a-bruxelles/0,1254,57_ART_9869,00.html

Nonostante si trattasse di un evento oggettivamente piuttosto importante anche per la comunità del sistema dei media e dell’Ict del nostro Paese, non ha goduto di nessun interesse da parte della stampa italiana e già questa annotazione potrebbe stimolare una qualche riflessione sui deficit e ritardi nostrani, al di là della grancassa retorica provocata intorno alla “Agenda Digitale” in gestazione in Italia. Si è tenuta il 26 aprile a Bruxelles, in sede comunitaria, una kermesse organizzata dalla Direzione Generale Mercato Interno e Servizi, in associazione con gli uffici della presidenza danese del Consiglio dell’Unione Europea, nell’ambito del processo di revisione della Direttiva n. 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale: si tratta delle procedure appunto finalizzate al cosiddetto “enforcement” per quanto concerne la tutela della proprietà intellettuale. Questa giornata di lavori ha fatto seguito ad un incontro organizzato nel giugno 2011 e ad una consultazione pubblica sull’applicazione della Direttiva 2004/48/CE. La kermesse è stata organizzata per consentire ai numerosi “stakeholder” presenti di fornire input e rimarcare eventuali deficit nell’economia della revisione del documento da parte della Commissione.  Sembra che nessuna decisione verrà presa prima di una novella consultazione pubblica, soprattutto in considerazione dei numerosi problemi insorti con l’Acta: si ricorda che l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement è l’accordo commerciale plurilaterale che detta norme più efficaci per contrastare la contraffazione e la pirateria informatica, al fine di tutelare copyright, proprietà intellettuali e brevetti su beni, servizi e attività legati alla rete, siglato a Tokyo nel gennaio 2012, ma il cui recepimento da parte degli Stati membri è oggetto di aspre critiche. Molti tra coloro che avrebbero voluto partecipare sono rimasti esclusi (la sala deputata non aveva gran capienza): in ogni caso, una diretta streaming ha consentito a tutti di assistere all’evento e, volendo, di prendere parte al “forum” veramente “in tempo reale”, inviando commenti o domande in diretta ad una account email ad hoc fornito dalla Commissione stessa. La lunga giornata (sette ore di dibattito) si è articolata in due sessioni: la prima dedicata alle sfide che gli autori e le piccole e medie imprese sono chiamati ad affrontare in tema di “enforcement” e la seconda relativa alle problematiche del “nuovo” contesto digitale. Nonostante il generale apprezzamento sui lavori in corso, numerosi sono stati gli input forniti dai rappresentanti di differenti associazioni presenti (dall’Ifpi all’Etno alla Fia…) per un miglioramento della Direttiva. I temi più ricorrenti sono stati: necessità di potenziare le misure volte a prevenire e contrastare la pirateria e la contraffazione; facilitare l’accesso e abbreviare tempi e costi delle controversie in sede giudiziaria; promuovere azioni di comunicazione e sensibilizzazione, al fine di diffondere conoscenza dei diritti di proprietà intellettuale; sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalla rete, limitando al massimo i rischi di distribuzione illegale, ma stimolando nuovi modelli di business. Dominick Luquer, Segretario Generale della Fia (la Federazione Internazionale degli Attori), che ha preso la parola più volte nel corso della giornata, ha rimarcato come i lavoratori del settore audiovisivo non si trovino ad operare come le “industrie di Hollywood”, ma molto spesso lavorino invece all’interno di piccole-medie imprese, che debbono sostenere investimenti enormi per produrre un contenuto audiovisivo. Se questo prodotto viene piratato, e quindi l’impresa non solo non riesce a trarre un beneficio economico ma neppure ad avere un ritorno dell’investimento fatto (cioè non solo non produce utili, ma nemmeno recupera i costi di produzione), andrà certamente incontro al fallimento. In molti hanno poi concordato sulla opportunità di una revisione della Direttiva del 2004 (sono trascorsi… secoli da allora, e non solo per quanto prevede la legge di Moore…), ma soltanto nella misura in cui questa vada nella direzione di un rafforzamento dei livelli di tutela e non verso un loro progressivo allentamento. Un altro problema emerso, messo in luce anche dal Direttore dell’associazione europea degli “internet service provider” EuroIspa, l’italiano Innocenzo Genna (che anni fa è stato – tra  l’altro – responsabile degli affari legali e regolamentari di Tiscali), è il costo delle controversie legali su queste materie. Il costo della procedura va pagato dal detentore dei diritti, il quale dovrebbe recuperare queste somme dai violatori. Il problema, nell’epoca digitale, risiede nella enorme difficoltà di risalire – spesso – alla “fonte” della violazione. Tanto più che nei 27 Paesi dell’UE, la Direttiva viene applicata in maniera differente in ogni Stato membro ed è quindi ancor più arduo il controllo e la condivisione dei dati. Un’altra tematica sollevata è il calcolo dei danni arrecati / subiti (si è sottolineato quanto sia difficile raggiungere stime attendibili) e la valutazione dell’arricchimento dei violatori. Jesper Kongstad, Direttore generale dell’Ufficio Brevetti danese, ha proposto di promuovere una maggiore conoscenza internazionale delle decisioni adottate dalle autorità dei singoli Paesi: questa maggiore circolazione di informazioni potrebbe fungere da possibile deterrente per i violatori. Ribadita da più parti l’importanza delle politiche di informazione e sensibilizzazione verso le tematiche della proprietà intellettuale nei diversi contesti. Questa tematica non viene affrontata in nessun punto della Direttiva, mentre dovrebbero essere introdotti degli obblighi in materia per tutti gli Stati membri dell’Unione. Grande è apparsa la soddisfazione nei confronti delle attività dell’Osservatorio Europeo sulla Contraffazione e la Pirateria, istituito nel 2009, che deve porsi sia come fonte affidabile di dati ed elaborazioni sia come vero e proprio “forum” per i diversi “stakeholder”. Molti operatori auspicano un rafforzamento delle attività dell’Osservatorio, e si ricorda che a fine marzo 2012 il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno approvato una proposta della Commissione che mira a coordinare l’Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (Uami) ed appunto l’Osservatorio Europeo sulla Contraffazione e la Pirateria. La nuova struttura dovrebbe chiamarsi “Osservatorio Europeo sulle Violazioni dei Diritti di Proprietà Intellettuale”. Johannes Studinger, Direttore della Uni Global Union (entità che raggruppa 900 unioni di rappresentanza dei lavoratori del settore servizi), dopo aver ribadito i grandi rischi che una “pmi” si assume nel momento in cui decide di dar vita ad un “prodotto creativo”, e quindi la necessità di maggiori certezze verso il “ritorno” economico dell’investimento, ha concluso che la Direttiva “Enforcement” appare valida ed equilibrata, ma che probabilmente noi tutti non siamo ancora sufficientemente attrezzati per affrontare le enormi sfide dell’era digitale. È stata oggetto di discussione anche una provocatoria proposta emersa nell’ambito dell’Etno, l’associazione europea degli operatori del settore telecomunicazioni: la potente lobby, dopo aver criticato le misure contro la contraffazione, che “non essendo molto mirate, rischiano di creare più danni che benefici”, propone una sorta di sistema di “licenze collettive globali obbligatorie”, sulla base delle quali ogni cittadino dovrebbe versare, come tassa, il corrispettivo di circa 1,5 euro al mese per fruire dei contenuti legali “online” protetti da copyright…Questo sistema, secondo Etno, consentirebbe dei ricavi oggi inimmaginabili, e comunque molto superiori a quelli attuali e farebbe diminuire vistosamente l’appeal dell’offerta illegale. In linea teorica, l’associazione internazionale dell’industria fonografica Ifpi sarebbe d’accordo: il settore musicale, infatti, che già propone molta offerta legale online, va assolutamente protetto rispetto all’offerta illegale che rischia di distruggerlo.   Altra questione dolente è la velocità delle procedure: se, per ottenere un risultato, è necessario un tempo troppo lungo, la variabile temporale vanifica la repressione. Le procedure di repressione dei reati e delle pratiche illegali dovrebbero essere uniformate a livello europeo, armonizzando norme e regolamenti e prassi dei singoli Stati membri. Al termine del “forum di discussione”, Antonio Campinos, Presidente dell’Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (Ohim), ha ribadito il ruolo-chiave che l’Osservatorio Europeo sulla Contraffazione e la Pirateria è chiamato a svolgere nell’azione di contrasto alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, annunciando una consultazione pubblica per l’elaborazione del programma di lavoro dell’Osservatorio che sarà approvato a settembre. Nel programma, molta importanza verrà assegnata al coinvolgimento di “stakeholder” pubblici e privati ed alla creazione di gruppi di lavoro che dovranno seguire i diversi progetti dell’Osservatorio. Gli unici due esponenti che sono intervenuti in qualche modo in rappresentanza del nostro Paese sono stati il Presidente della Fimi Enzo Mazza ed il parlamentare diessino Vincenzo Vita. Il secondo, in un breve intervento, si è limitato a richiamare che le ragioni degli autori e produttori di contenuto vanno comprese all’interno di una esigenza sviluppo liberale e democratico della rete. Enzo Mazza ha sollevato una questione importante e rimossa dai più. È stato risoluto nel non voler parlare della grandi case fonografiche (che pure rappresenta), ma dei loro “partner” italiani: “Abbiamo ascoltato molte cose in tema di enforcement, in tema di protezione del diritto d’autore: molti sono stati gli stakeholder che qui hanno preso la parola, ma nessuno ha parlato dei nostri partner”. I “partner” cui si riferisce Mazza sono le piccole “start-up”, lanciate da giovani europei, interessate ad investire ed impiegare energie nel settore. Si tratta di veri “eroi”, ha sostenuto Mazza. La critica di Mazza è basata sull’osservazione che si sente parlare unicamente di iTunes e di Netflix, ma in realtà esistono anche molti altri interlocutori che pagano diritti, creano licenze per il settore video e che poi vedono dissipare i loro sforzi a causa di Kim Dotcom o chi per lui… “Non è un problema soltanto di enforcement – ha sostenuto il Presidente della Fimi – ma si tratta di aiutare questi giovani, coraggiosi imprenditori, a diffondere legalmente i contenuti. Nessuno però sembra mostrare alcun interesse nei loro confronti; la domanda è: cosa fa l’Agcom, cosa fa lo Stato italiano per proteggerci?”.

Elena D’Alessandri (Responsabile di Ricerca IsICult)

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva ) 7 maggio 2012

Il trattato Acta visto da vicino: un’analisi di Eugenio Prosperetti

L’avvocato Eugenio Prosperetti, eccellente giurista e consulente del progetto “Italia: a Media Creative Nation”, ha pubblicato sul sito web della rivista “Formiche” una interessante analisi delle travagliate dinamiche del controverso trattato Acta. Invitiamo alla lettura (link all’articolo su “Formiche”):

http://www.formiche.net/dettaglio.asp?id=29064&id_sezione

noterella su “Formiche” (tratta dal sito web): “Cosa fa un gruppo di trentenni con passione civile e curiosità per tutto ciò che è politica, economia, affari internazionali e cultura? Dà vita e continuità ad un progetto culturale che fa perno anzitutto su una rivista. Si tratta di Formiche, un mensile appunto. Ma non solo. Sotto questa sigla si nasconde un progetto culturale ed editoriale che, nato nel 2004, è cresciuto e si è fatto più ampio e oggi può vantare anche un semestrale in lingua inglese, Anthill.eu, una collana di libri con Marsilio, un programma di seminari a porte chiuse (Landscapes), una Fondazione onlus, un sito internet e Formiche social club, un cantiere di social networking. La rivista ha la particolarità e l’orgoglio di essere una pubblicazione che non gode del finanziamento pubblico e che non è organo di alcun partito o movimento politico. Rivista fondata da Paolo Messa. Direttore responsabile_ Anna Mazzone. Direttore scientifico Gustavo Piga. Staff Fabrizia Argano, Francesca Capannolo, Marco Andrea Ciaccia, Valeria Covato, Francesco Di Giangiacomo, Flavia Giacobbe, Rossana Miranda. Editore: Base per altezza srl, CorsoVittorio Emanuele II 18, Roma. Consiglio di amministrazione: Presidente Gianluca Calvosa, Consiglieri Fabio Corsico, Giovanni Lo Storto, Chicco Testa.

 

L’interessante “pronuncia pregiudiziale” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Il 9 febbraio 2012, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (nota anche con l’acronimo “Cgce”) ha emesso una pronuncia pregiudiziale, su richiesta del Handelsgericht Wien (Tribunale Commerciale di Vienna) per quanto riguarda i diritti di sfruttamento del regista e del produttore di un film. Si tratta di un pronunciamento interessante. A livello nazionale, il caso coinvolge il regista e produttore di un film documentario sulla fotografia di guerra tedesco durante la seconda guerra mondiale (“Fotos von der Front”). Le due parti avevano concluso un accordo, riconoscendo i rispettivi ruoli e l’assegnazione di diritti d’autore e diritti connessi al produttore del film, con l’eccezione di alcuni metodi di sfruttamento (come la trasmissione a gruppi chiusi di utenti e pay-tv), che sono stati oggetto di un pagamento distinto. Il contratto non ha specificato nulla per alcuni prelievi di legge (ad esempio, l’equo compenso o il prelievo sulle registrazioni del materiale). La controversia è sorta quando il produttore cinematografico ha reso disponibile “online” il filmato ed ha deciso di assegnare i diritti di un film ad una piattaforma “video-on-demand”. Il regista ha sostenuto che questo metodo di sfruttamento era stato riservato a lui per contratto, e che quindi il contratto e il suo diritto d’autore e’ stato violato. Il produttore cinematografico  ha sostenuto che tutti i diritti esclusivi di utilizzazione sono invece stati assegnati a lui. Inoltre, ha fatto valere i citati prelievi di legge. Il giudice ha accertato che nel diritto austriaco i diritti di sfruttamento sono direttamente e originariamente attribuiti al produttore di film. Gli accordi che hanno un effetto contrario erano nulli. La legge prevedeva che i diritti legali delle retribuzioni fossero invece ripartiti in parti uguali tra il produttore cinematografico e regista, ma poteva essere derogata. Dai dubbi del giudice sulla legittimità della normativa in questione la domanda di un giudizio preliminare alla Corte di Giustizia Europea.
Secondo la Corte di Giustizia Europea, il diritto comunitario impone agli Stati Membri di concedere al regista i diritti di  sfruttamento di un’opera cinematografica insieme con il diritto ad un equo compenso. Le leggi nazionali possono stabilire una presunzione di cessione dei diritti di sfruttamento al produttore cinematografico, a condizione che il regista possa sempre concordare altrimenti. Tuttavia, l’equo compenso non può essere oggetto di una presunzione di trasferimento.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G.) 20 aprile 2012

Viacom vs Google-YouTube: l’appello ribalta il primo grado, ma…

Nella querelle che vede contrapposti Viacom e Google-YouTube, la decisione in appello ribalta la sentenza di primo grado, ma sulla base di dichiarazioni di consulenti Google!
Una decina di giorni fa, la Corte d’Appello del Secondo Circuito degli Usa ha accolto l’appello della società Viacom nei confronti della precedente sentenza del 2010, con la quale il colosso Google-YouTube era stato scagionato dall’accusa di ripetuta infrazione ed incoraggiamento all’infrazione del copyright, da parte del colosso di Mountain View, mediante la pubblicazione e l’hosting di contenuti in violazione dello stesso.
Nella prima sentenza, della quale abbiamo anche discusso all’interno del rapporto di ricerca ”Italia: a Media Creative Nation”, YouTube non era stata condannata, in quanto il giudice aveva rilevato:
- che le segnalazioni di Viacom circa il materiale illegalmente caricato dagli utenti su YouTube avevano sortito pieno effetto, e gli stessi erano infatti stati rimossi in breve tempo dal celebre aggregatore video;
- che il procedimento di cosiddetta “notice and take down” adottato da YouTube è l’unica misura che possa essere correttamente adottata, a fronte dell’impossibilità di porre in essere controlli preventivi o simultanei al caricamento dei video da parte degli utenti;
- che, a differenza del precedente caso Grockster, i servizi di condivisione video offerti da Google su YouTube non fossero di per sè orientati alla condivisione illegale di video non autorizzati.
Tali risultati erano stati ottenuti dai giudici di primo grado tramite l’applicazione del c.d. principio del “safe harbour”, previsto dal Digital Millennium Copyright Act (Dmca, la normativa americana sul copyright in rete), previsione molto simile all’europeo “mere conduit”, in base al quale il fornitore di servizi di “hosting” non può essere riconosciuto responsabile per gli illeciti commessi dai propri utenti. Questo, tuttavia, a condizione che non sia dimostrato che lo stesso fornitore di hosting fosse a conoscenza degli illeciti dei propri utenti.
Proprio su quest’ultima affermazione, la Second Circuit District Court degli Stati Uniti  argomenta che, come risulta da dichiarazioni degli stessi consulenti di Google interpellati in primo grado, YouTube stimasse la presenza di quasi il 90 % di contenuti illegali sui propri server, senza fare nulla per prevenire una così alta percentuale di illecito.
Peraltro, incalza la Corte d’Appello Usa, non è chiaro come, da una situazione di così marcato disinteresse per ciò che transita per la piattaforma si passi invece ad una “pronta e solerte rimozione dei contenuti”, dopo la segnalazione del proprietario dei contenuti/dei diritti di sfruttamento sugli stessi.
In base a tali argomentazioni, la sentenza di primo grado è stata annullata, e la Corte di Appello Usa ha rinviato il caso al Tribunale Distrettuale di primo grado, affinchè valuti con maggiore attenzione sia la consapevolezza di Google-YouTube della presenza di video illeciti sulla propria piattaforma multimediale, sia l’effettiva possibilità per la stessa società di porre in essere misure di controllo tecnico, per arginare il dilagare di fenomeni di violazione del copyright così estesi.
E’ naturlamente troppo presto per tracciare valutazioni finali sulla vicenda, ma va sottolineato che una decisione come quella adottata dalla Second District Court sembra ribaltare quello che è stato sinora il trend mantenuto dalle corti Usa, riaccendendo l’annosa questione sulla legittimità o meno di imporre ai fornitori di hosting controlli maggiormente pervasivi su ciò che gli utenti iscritti caricano sui loro server.

( a cura della redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 20 aprile 2012

“Italian Digital Agenda Annual Forum”: una gran delusione la kermesse di Confindustria Digitale, nonostante Kroes e Passera e Profumo…

Segnaliamo e riproduciamo a seguito l’articolo che abbiamo pubblicato sul sito web del mensile del gruppo Il Sole 24 Ore “Millecanali”, nell’edizione del 12 aprile 2012. Il titolo originale è “La ‘giornata digitale’ di Roma”.

http://www.millecanali.it/la-giornata-digitale-di-roma/0,1254,57_ART_9767,00.html

Una gran delusione la gran kermesse promossa da Confindustria Digitale a Roma nella mattinata di mercoledì 11 aprile 2012, nella sala grande dell’Auditorium di Renzo Piano, nella “città culturale” della Fondazione Musica per Roma, affollata ma non affollatissima (è pur vero che si tratta di una sala da 1.400 posti). Dopo quattro ore di conferenza, la sensazione diffusa è stata: e allora? Veramente “nihil novi sub sole”.

La Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica ha accolto i partecipanti al primo “Italian Digital Agenda Annual Forum”, evento promosso da Confindustria Digitale, in partnership con il Forum della Pubblica Amministrazione.

Ricordiamo che Confindustria Digitale è la nuova federazione di rappresentanza industriale, costituita pochi mesi fa in ambito confindustriale: sono soci Assotelecomunicazioni-Asstel (associazione della filiera delle imprese di telecomunicazioni), Assinform (in rappresentanza dell’“Information Technology”), Anitec (che riunisce i produttori di tecnologie e servizi di ict e consumer electronics), Aiip (associazione degli internet provider), Assocontact (associazione dei “contact” e “call center”), Asso.it (associazione nazionale fornitori information technology – document management & printing). Il presidente è Stefano Parisi (già alla guida di Fastweb, ed ancor oggi membro del cda del controverso gruppo ormai controllato da SwissCom), che guida la Federazione coadiuvato da due vice presidenti, Paolo Angelucci, a capo di Assinform, e Cristiano Radaelli di Anitec. A Confindustria Digitale, fanno capo imprese per un totale di oltre 250.000 addetti, che realizzano un fatturato annuo di oltre 70 miliardi di euro (stime della stessa Cd). Da segnalare, in particolare per i lettori di “Millecanali”, che la Federazione Radio-Televisioni (Frt) è attualmente fuori dal sistema confindustriale, perché uscita da Confindustria Servizi Innovativi nel corso del 2011…

La kermesse, diversamente da quanto accade il più delle volte negli italici convegni, è iniziata con discreta puntualità. Da segnalare che, prima dell’inizio, gli altoparlanti diffondevano musichette pop non esattamente “made in Italy”, ma – certamente – questi sono dettagli, rispetto ad una iniziativa organizzata senza dubbio in modo abbastanza accurato e certamente con adeguato dispendio di risorse. Tra i dettagli, ci piace osservare come i partecipanti siano stati costretti ad un quarto d’ora medio di attesa, in diligente fila indiana, prima di poter accedere alla sala… Corre l’obbligo di raccontare, con una qual certa ironia, la vicenda dell’accredito: nonostante la mail di conferma, successiva all’accredito telematico, da stampare e presentare il giorno della kermesse, riportasse un “barcode” (e questo aspetto veniva enfatizzato nelle comunicazioni di Cd), ai banchi dell’accoglienza non c’era nessun lettore di codice a barre, e, al termine della lunga fila, alcune hostess, dopo aver chiesto il nominativo, procedevano ad evidenziare il nome su una lista cartacea… Non male come inizio di una conferenza sull’agenda digitale! Dettagli, certamente, ma sintomatici, allorquando si dichiara di avere nell’efficienza tecnologica un valore fondante…

Grande l’enfasi, prevedibile, di tutti gli intervenienti sulle potenzialità della rete per la crescita, per l’occupazione, per il “valore aggiunto”, per i risparmi ottenibili tramite la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, per la “coesione sociale” e finanche per il complessivo “welfare” nazionale (nelle iperbole retoriche, nessuno ha evocato il concetto di “felicità”, ma ci siamo andati vicini).

La prima parte della mattinata ha ospitato cinque interlocutori chiamati a portare la loro “testimonianza”. Si tratta di professionisti ed imprenditori che operano in strutture che hanno già messo in atto il processo di digitalizzazione o che comunque sfruttano le nuove tecnologie e possono quindi raccontare vantaggi e potenzialità della digitalizzazione. Poche parole di Stefano Parisi, Presidente di Confindustria Digitale, danno inizio ai lavori. Il “padrone di casa” ci tiene a precisare che il Ministro Profumo ha suggerito, al posto di “agenda digitale” (che voleva essere il titolo originario della kermesse), un’espressione che fosse più chiara per tutti, suggerendo come titolo “Internet può cambiare l’Italia”, poi divenuto definitivamente “Internet #cambia l’Italia. Oh, perbacco, che gran originalità! Intervengono, nell’ordine, Attilio Befera, Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Riccardo Donadon, fondatore di H-farm Ventures, Carlo Maccari, Assessore alla Semplificazione e Digitalizzazione della Regione Lombardia (il Presidente Formigoni è stato chiamato da superiori quanto imprevisti impegni), Marco Polillo, Presidente di Confindustria Cultura Italia, Matteo Renzi, Sindaco di Firenze.

Da tutti i relatori viene ribadito il concetto che “costruire un’agenda digitale per il Paese vuol dire costruire il futuro”. Oh, perbacco! C’è chi poi come Befera insiste sui vantaggi in termini di snellimento della macchina burocratica della pubblica amministrazione… chi, come Maccari, crede nel ruolo giocato dalle singole Regioni nel processo di digitalizzazione dell’Italia, respingendo l’idea di operazioni “calate dall’alto”, ma ricordando la babele di sistemi informatici utilizzati dalla stessa Regione Lazio… chi, come Polillo, ripone speranze nel ruolo determinante giocato dalle nuove tecnologie per quanto riguarda l’educazione ed enfatizza come cultura e tecnologia vadano in verità nella medesima direzione, alleati e non nemici. Interessante ed innovativo il racconto di Donadon (arricchito da un eccellente video auto promozionale), quarantenne, che, con una “buona idea” e molta fortuna (dall’azienda di famiglia al sostegno di Benetton), è stato in grado di creare nella sua terra (il Veneto) un vero e proprio “distretto” agricolo-tecnologico, riuscendo ad attrarre giovani ed assistendo lo sviluppo di numerose aziende: il suo gruppo (H-farm, ove “h” sta per “human”) è infatti uno dei maggiori “investitori” in “start-up” attivi in Italia ed a livello mondiale (tecnicamente, è un “venture incubator”).

La seconda parte della mattinata, dopo una esageratamente lunga e ridondante presentazione di Parisi (peraltro a tratti un po’ troppo “autopromozionale” e con una qualità “grafica” veramente “low profile” se non “cheap”…), è stata dedicata agli interventi istituzionali. I lunghi interventi dei due Ministri che hanno preso parte alla mattinata, Corrado Passera (Sviluppo Economico) e Francesco Profumo (Istruzione), hanno lasciato delusi gran parte dei presenti, e certamente chi redige queste note. Troppo lunghi e assai vacui, anche se con “intermittenti” stimoli. Passera afferma con insistenza che, per realizzare un’agenda digitale per il Paese occorre “lavorare insieme” ed “avere un sogno in cui credere”. Oh, perbacco! “Non è la macchina che spinge l’autostrada, ma l’autostrada che spinge la macchina” è sua una citazione retoricamente efficace, ma noi restiamo dell’idea che a poco serva una gran bella… autostrada, se non ci sono automobili di qualità (i contenuti, i contenuti, i contenuti): insomma, a che serve una autostrada a quattro corsie, se poi ci si muove con una (con tutto il rispetto per Marchionne) Fiat Panda?! Profumo invece sintetizzerà efficacemente il suo intervento con l’espressione “la tecnologia evolve, la cultura è invece quello che rimane”. Però! Qualcuno ha addirittura applaudito, ma forse si è trattato di una reazione pavloviana. Nemmeno un cenno – si noti bene – alla “notizia del giorno” (d’accordo, del giorno prima, ma suvvia…) ovvero all’annullamento – annunciato e confermato (ma si nutrono dubbi su eventuali “u-turn”) – del “beauty contest”. Stimolata sull’argomento, la Commissaria europea forse avrebbe manifestato un qualche commento…

Alle 13.45, con un ritardo di circa mezz’ora sulla “tabella di marcia”, è il momento delle conclusioni, lasciate alla “special guest”, la Commissaria Europea per l’Agenda Digitale, Neelie Kroes. Kroes, nonostante il suo ruolo di rappresentante europeo non glielo richieda (in verità, non glielo consenta), tesse sperticate lodi verso il premier Monti ed i membri del suo esecutivo. Incredibilmente, ha sostenuto: “anche se io non posso esprimere giudizi sugli esecutivi degli Stati membri, consentitemi di suggerirvi: tenetevi ben stretti Mario Monti, il più a lungo possibile”. Non si deve essere filo-berlusconiani, ma semplicemente italiani, per ritenere inopportune, e saccenti, e certamente “politically uncorrect”, dichiarazioni di questo principio, con buona pace dell’essere i commissari europei “super partes”… Transeat.

La Commissaria, dopo aver ribadito gli enormi vantaggi offerti dalla digitalizzazione, si è soffermata su un tasto dolente anche per il nostro Paese: la disoccupazione giovanile, assicurando che il settore dell’ict consentirà di attivare, entro il 2015, 700mila nuovi posti di lavoro (come spesso accade, non vengono citate le fonti di queste stime e previsioni, e quasi sempre si tratta di numeri in libertà). Altro grave problema italiano è quello del così detto “digital divide”, allorché la Commissaria ha evidenziato come il 41 % degli italiani non abbia mai avuto accesso ad internet: già soltanto questo dato dovrebbe stimolare in Monti e Passera e Parisi verso una sana autocritica sul da farsi, allorquando Parisi ed altri hanno avuto il coraggio di sostenere che l’Italia “non è arretrata”, nel confronto europeo, rispetto alle infrastrutture ed in particolare rispetto alla diffusione della banda larga (in argomento, Passera ha citato “elaborazioni” su fonti Eurostat, ma sia consentito nutrire dubbi sulla affidabilità di questi dati: noi possiamo soltanto testimoniare che, nel centro storico della capitale d’Italia, la fibra ottica è un puro sogno, con la benedizione di Telecom Italia). L’agenda digitale per l’Europa è un tassello che può rendere competitivo il “vecchio Continente”. Dà quindi il benvenuto alla “Agenda digitale” per l’Italia e, rispondendo all’invito di Parisi, dichiara che sarà lieta di tornare il prossimo anno per valutare lo stato dell’arte della tanto osannata Agenda Digitale.

Una osservazione finale: nella “agenda digitale” in gestazione, nessun cenno alla questione che riteniamo resti centrale, ovvero i contenuti, i contenuti, i contenuti. Anche se – con simpatia – è stato citato naturaliter Jobs e la sua teorizzazione sulla convergenza naturale ed inevitabile tra tecnologie ed umanesimo, per creare vera innovazione. Ricordiamo che in occasione della presentazione dell’iPad, alla fine del 2010, il fondatore della Apple sostenne: “nel dna della Apple c’è che la tecnologia, da sola, non basta: è la tecnologia sposata con le liberal arts, sposata con le “humanities”, che producono i risultati che fanno cantare i nostri cuori”. Soltanto il Presidente di Confindustria Cultura ha battuto sul tasto della centralità dei contenuti, rimarcando – tra i ritardi del nostro Paese – l’assurdità delle sperequazioni nel trattamento impositivo dei differenti prodotti culturali: l’Iva sui libri cartacei è al 4 %, l’Iva sui libri elettronici è al 21 %. E Monti tace.

Angelo Zaccone Teodosi e Elena D’Alessandri (rispettivamente Presidente e Responsabile di Ricerca dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult)

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva ) 13 aprile 2012

Contraddizioni ed opacità dell’Agcom… ma non soltanto

Crediamo che un gruppo di lavoro come quello del progetto “Italia: a Media Creative Nation” non possa non commentare quel che si registra in questi giorni nella comunità professionale: una diffusa sensazione di complessivo e diffuso sconforto. I giudizi di Scorza o di D’Angelo ci appaiono eccessivamente lapidari e “di parte”, ma c’è del vero nelle loro analisi critiche: le ultime settimane del mandato del Presidente dell’Agcom si stanno caratterizzando per molte contraddizioni e non poche opacità. Analizzando attentamente le dichiarazioni di Calabrò (manifestate di fronte alle Commissioni Parlamentari, non in riservati conversari prandiali), così come quelle di Catricalà (che ha smentito l’attendibilità della bozza che la Masera aveva pubblicato sul suo blog su “La Stampa”), emerge un andamento veramente ondivago, rispetto al sempre più mitico “regolamento” che dovrebbe normare (…) il diritto d’autore “online”. E che dire delle voci sui possibili candidati all’Agcom che verrà?! Uno strano articolo di “Italia Oggi”, nell’edizione odierna, sparava a piena pagina… Zeno Zencovich come sicuro futuro Presidente dell’Autorità (sostenendo che l’eccellente accademico godrebbe di una benedizione della triade di governo ”abc” Alfano-Bersani-Casini), ma prontamente è giunta una smentita di Bersani, addirittura con un comunicato stampa ufficiale del Pd… La questione delle nomine all’Agcom ed al cda Rai dovrebbe essere trattata con maggiore trasparenza: crediamo che le proposte – avanzate dall’Italia dei Valori – di procedure pubbliche, con curricula e programma dei singoli candidati in bella evidenza, siano veramente cosa buona e giusta. Soprattutto per un governo di “tecnici”, aggiungiamo. Attendiamo le decisioni di Monti: non particolarmente fiduciosi però, ahinoi.

a cura di Angelo Zaccone Teodosi – a.zaccone@isicult.it ) 5 aprile 2012

Effetto “Megaupload”: Rapidshare dovrà verificare e disabilitare link condivisi da siti pirata

Prosegue l’effetto benefico per il copyright online, a seguito della caduta del colosso del “file sharing” Megaupload.
Ad essere colpito, sebbene in maniera più leggera, in questo caso è un suo concorrente di vecchia data: la società Rapidshare, con base in Germania, tra le prime ad offrire ai propri utenti spazi di archiviazione online a prezzi competitivi.
L’Alta Corte Regionale di Amburgo, con una ordinanza emessa negli scorsi giorni, ha dichiarato “legittima” l’attività di Rapidshare (intesa come modello di business basato sulla “offerta al pubblico di spazio di archiviazione file online”), ma ha stabilito, al tempo stesso, che la società tedesca dovrà farsi carico di una accurata attività di monitoraggio dei siti web terzi, e conseguentemente inibire l’accesso a tutti quei file che vengono scambiati su siti web di matrice pirata.
Sappiamo che Rapidshare appellerà tale ultima parte dell’ordinanza, forte dell’avvenuto riconoscimento di un comportamento abbastanza differente da quello della ben più spregiudicata Megaupload, tuttavia non possiamo che plaudere al cambio di prospettiva proposto dalla Alta Corte tedesca: poichè il fornitore del servizio di archiviazione online spesso non riesce a controllare in tempo reale ciò che viene caricato sui propri server e si limita dunque alla meccanica rimozione di singoli contenuti od account a seguito di segnalazioni, ben venga l’imposizione di un obbligo, per tale soggetto, di agire preventivamente per la rimozione di contenuti caricati su suoi server e condivisi su siti di natura apertamente pirata.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G.) 30 marzo 2012

Una bozza della misteriosa norma che “rileggittima” l’Agcom e le consente la “disabilitazione” dell’accesso ad internet, in stile Hadopi…

Ci limitiamo a segnalare: Anna Masera sul suo blog su “La Stampa” ha oggi reso di pubblico dominio un documento evidentemente a circolazione interna della Pdcm, che qui riproduciamo, ovviamente non potendo garantire alcunché sulla veridicità dello stesso. Scrive Masera: “Agcom, ecco la bozza per normare per decreto il diritto d’autore su Internet. Una fonte mi ha inviato questo documento, dopo “decisione finale” preannunciata ieri da Calabro”.

Seguono il testo dell’articolato e la relazione di accompagno.

Articolato

Disposizioni interpretative in materia di competenze dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni:

Art. 1. L’autorità amministrativa avente funzioni di vigilanza di cui agli articoli 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, è l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Alla predetta Autorità è altresì affidata la risoluzione extragiudiziale delle controversie aventi ad oggetto l’applicazione sulle reti telematiche della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni. Per tali controversie opera la sospensione dei termini processuali prevista dall’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249. Entro 30 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, l’Autorità adotta un regolamento che disciplina le procedure di notifica e rimozione dei contenuti in qualunque modo resi accessibili in Italia in violazione della legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni e per il tramite di servizi ovunque situati, nonché alla risoluzione delle relative controversie.

2. In caso di accertata inottemperanza agli ordini e diffide impartite dall’Autorità ai sensi del regolamento di cui al comma 1, si applicano le sanzioni previste dall’articolo 1, commi 30 e 31, della citata legge 31 luglio 1997, n. 249. Nei casi di particolare gravità o di reiterazione delle condotte illecite, l’Autorità inoltre dispone la disabilitazione dell’accesso al servizio o, solo se possibile,  ai contenuti resi accessibili in violazione della legge 22 aprile 1941, n. 633.

3. L’Autorità promuove altresì iniziative atte ad incentivare l’adozione di codici di condotta che disciplinano i rapporti tra i titolari delle opere dell’ingegno e i prestatori di servizi, favorendo l’offerta legale dei contenuti nelle reti di comunicazione elettronica.

4. Sono abrogati i commi 5 e 6 dell’articolo 1 del decreto legge 22 marzo 2004, n. 72, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2004, n. 128.

Relazione illustrativa.

L’intervento normativo in questione fa chiarezza nella materia della pirateria nelle comunicazioni elettroniche e nella diffusione telematica di dati, in primo luogo individuando nell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, l’autorità amministrativa cui la legge assegna la vigilanza sulla prestazione di servizi delle società di informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico. A tale Autorità è altresì assegnato il compito di curare la risoluzione stragiudiziale delle controversie che involgono l’applicazione sulle reti telematiche del diritto d’autore (ribadendo l’effetto sospensivo dei termini per ricorrere giudizialmente finché non sia espletato, nel termine di trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità,  il tentativo obbligatorio di conciliazione) e quello di emanare un regolamento che disciplini la rimozione dei contenuti telematici violativi del diritto d’autore e la risoluzione delle controversie che ne derivano (comma 1).

Si prevede inoltre che, in caso di violazione dei conseguenti ordini e delle diffide emanati dall’Autorità, oltre all’irrogazione delle sanzioni pecuniarie previste dalla legge istitutiva dell’Autorità medesima, questa possa disporre, in casi di particolare gravità ovvero se le violazioni dovessero ripetersi, la completa disabilitazione dell’accesso al servizio telematico oppure, nel caso in cui sia tecnicamente possibile, ai soli contenuti resi accessibili in violazione delle norme sul diritto d’autore (comma 2).

A completamento del quadro di tutela dei contenuti telematici coperti da diritto d’autore, sono infine assegnati all’AgCom compiti di incentivazione dell’adozione di normative organiche di condotta che, disciplinando il rapporto tra titolari del diritto d’autore e prestatori di servizi, favoriscano l’offerta legale di tale contenuti (comma 3).

Infine, per ragioni di coordinamento normativo, volto ad evitare una prevedibile sovrapposizione – con conseguente deficit di operatività – di queste norme con quelle dettate dal decreto legislativo n. 70 del 2003 in materia di servizi delle società dell’informazione nel campo del commercio elettronico, vengono soppresse le disposizioni del decreto legge 22 marzo 2004, n. 72 dettate per regolare alcuni obblighi informativi di tali società, nonché i compiti di queste volti alla inibizione ovvero alla rimozione dei contenuti illegali dai siti informatici (comma 4)”.

Pubblichiamo a seguito la lettura critica proposta da Agorà Digitale: “Il Responsabile del Team legale di Agorà Digitale Marco Scialdone commenta la bozza del decreto sul copyright. Per mesi abbiamo ripetuto che il quadro normativo esistente non attribuiva all’Agcom una competenza generalizzata in materia di diritto d’autore online. Per mesi ci siamo sentiti ripetere che c’erano “tre pilastri” che consentivano all’Autorità di intervenire. Oggi, come per magia, spunta una nuova disposizione allo studio del Governo che, di fatto, certifica Agcom non era legittimata ad intervenire. Si può dire, senza timore di smentita, che le Associazioni, come Agorà Digitale, si sono rivelate i consulenti più attenti e preparati che l’Autorià abbia mai avuto. Proprio per questo, ancora una volta, ci vediamo costretti a mettere a disposizione il nostro impegno e la nostra conoscenza per correggere le imprecisioni e le inesattezze contenute nella bozza di provvedimento normativo circolata in queste ore sulla stampa. Si tratta di un vero e proprio capolavoro di pressappochismo giuridico che corre il rischio di vanificare le competenze dell’altre autorità di garanzia, da quella della Concorrenza e del Mercato, a quella per la tutela dei dati personali. Non possiamo e non vogliamo credere che un governo tecnico possa adottare una disposizione del genere. Chiediamo a Monti di invertire la rotta e di uscire dalla logica emergenziale che ancora una volta la lobby dell’industria dell’intrattenimento vorrebbe imporre al Paese”.

Per ora, complessivamente… no comment. Ci limitiamo a segnalare che la previsione secondo la quale l’Agcom può ”disporre, in casi di particolare gravità ovvero se le violazioni dovessero ripetersi, la completa disabilitazione dell’accesso al servizio telematico oppure, nel caso in cui sia tecnicamente possibile, ai soli contenuti resi accessibili in violazione delle norme sul diritto d’autore” evoca, inevitabilmente, la tanto demonizzata “Hadopi”. Ma a noi la Hadopi piace !

( a cura di Angelo Zaccone Teodosi – a.zaccone@isicult.it ) 29 marzo 2012

 

Caso “Megaupload”: la Mpaa si oppone alla cancellazione dei dati

La Motion Picture Association of America (Mpaa) ha presentato richesta presso il giudice federale statunitense, affinchè la società Carpathia, principale “host” in Virginia dell’ex-colosso del “filesharing” Megaupload, continui a conservare sui propri server circa 25… petabytes di dati, incluse le informazioni account dei relativi utenti.
In un’intervista alla rivista “Wired”, Howard Gantman, vice presidente della Mpaa ha rassicurato gli utenti, specificando che non sarebbe intenzione dell’associazione perseguirli in prima persona: intento dell’operazione sarebbe quello di verificare il coinvolgimento di alcuni intermediari nelle operazioni illegali di Megaupload. La richiesta dell’associazione è motivata dai recenti avvenimenti del caso: le autorità federali, infatti, hanno provveduto da tempo a copiare parte della citata mole di dati presso server governativi, per poterne analizzare i contenuti e ricercare le relative responsabilità. Carpathia, dal canto suo, caldeggia la rimozione adducendo ragioni di costi (la società sostiene di spendere circa 9.000 dollari al giorno per conservare i dati suddetti). Considerato, tuttavia, che le stime governative sugli effetti del caso stimano  un danno ai detentori di copyright pari a circa 500 milioni di dollari, la richiesta della Mpaa non pare essere affatto eccessiva: in fin dei conti, ha dichiarato Gantman, si tratta unicamente di concentrare le ricerche su picchi di utilizzo della capacità dati che evidenzino un alto ritorno economico, o comunque un interesse molto rilevante alla prosecuzione delle attività di Megaupload, per poi smascherarne selettivamente gli utenti intestatari.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G.) 29 marzo 2012

Regolamento Agcom: Calabrò in attesa di una benedizione normativa…

Grande era l’attesa per la seconda audizione di Calabrò al Senato (nella mattinata di mercoledì 28 marzo 2012), ma non sembra che l’audizione abbia apportato innovazioni rispetto a quanto già si sapeva. In sostanza, il Presidente dell’AgCom ha ribadito che intendono / intenderebbero approvare il regolamento (il quotidiano “Mf” nell’edizione di ieri dava per possibile la decisione per subito dopo Pasqua), ma restano in attesa di una non meglio precisata benedizione normativa che dovrebbe essere concessa dal Governo Monti in non si sa quale provvedimento in gestazione. Calabrò ha sostenuto che il regolamento è pronto e l’Autorità attende solo la norma del Governo per approvarlo. Gli “oppositori digitali” si sono immediatamente scatenati: tra loro, Agorà Digitale, che ribadisce la richiesta di attendere un provvedimento normativo del Parlamento, invece che “normare” attraverso un regolamento dell’AgCom. Sostiene Agorà: “Neanche questa volta si è riusciti a vedere una bozza del regolamento, spiega Calabrò “per rispetto al Parlamento, stiamo maturando decisione finale, il dialogo è concluso, ora agiremo”, posto che quello messo in consultazione è da ritenersi superato dalla critiche mosse dalla Commissione Ue. La scorsa settim ana il Presidente dell’Agcom aveva chiesto al Governo di adottare formalmente un provvedimento in grado di dotare l’Autorità delle competenze necessarie ad intervenire su una materia così delicata. Richiesta ribadita con forza anche oggi. Noi chiediamo, urgentemente e senza riserve al Governo, vista l’imminente approvazione annunciata da Calabrò, di portare avanti quella discontinuità che ne ha caratterizzato finora l’operato. Consapevoli che una riforma del diritto d’autore sia necessaria, riteniamo però che sia essenziale da parte dell’esecutivo esplicitare quanto più possibile l’assenza di un’azione repressiva e lesiva delle libertà di informazione ed espressione che caratterizzano Internet. Per questo, inoltre, invitiamo i parlamentari di ogni schieramento a presentare da subito un’interpellanza urgente ai sottosegretari alla presidenza del Consiglio Catricalà e Peluffo, affinchè possano rendere edotti il Parlamento e i cittadini circa i contenuti di detta norma, consentendo altresì al legislatore di partecipare alla realizzazione di una così importante riforma”. Agorà, peraltro, in suo recente intervento, ha riproposto peraltro anche le solite tesi, ovvero che l’industria musicale – come confermerebbero alcune recenti elaborazioni statiche Ifpi – starebbe beneficiando grandemente delle vendite online. Quel che sfugge a Nicotra (Presidente Agorà Digitale) e a molti altri osservatori, è che questo aumento di vendite non compensa (ovvero compensa in parte assolutamente minima), il crollo di fatturati dovuto alla pirateria e al calo delle vendite dei supporti tradizionali (calo certamente determinato anche da politiche di prezzo che continuano a non cogliere i mutamenti “antropologici” dei giovani fruitori, ma questo è un altro discorso).
Non ci piace indossare i vestimenti del Santo Inquisitore, ma certamente c’è poco da plaudire rispetto al rinnovato recente successo elettorale del Partito dei Pirati in Germania. Crediamo che chi promuove l’approccio “libertario” in materia di cultura debba avere coscienza che contribuisce a determinare – non difendendo la cultura del diritto d’autore - un profondo e grave impoverimento strutturale dell’industria culturale. Con aspiranti musicisti destinati a patire la fame nera ed aspiranti giornalisti e “YouTube reporter” che certamente non riusciranno a sopravvivere con le loro pur apprezzabili attività. In sintesi, corriamo tutti il rischio di soccombere sotto la romantica retorica di una rinnovata demagogica versione della “proprietà è un furto”. In verità, la proprietà (intellettuale) non è un furto.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – A. ) 28 marzo 2012

Bagnoli Rossi guiderà la Fapav: primo segno della rigenerazione?!

La notizia non ha ricevuto dalla stampa ed in generale dai media particolare attenzione, ed una ragione – già in questa performance – ci deve essere: negli ultimi anni, Fapav si è dimostrato un soggetto “low profile”, almeno comunicazionalmente. Probabilmente perché non aveva molto da comunicare, ci verrebbe da sostenere, con un po’ di ironia, a causa dell’andamento… mediterraneo delle sue attività. Da osservatori critici del sistema dei media, non ci sembra essa abbia svolto un ruolo incisivo in quella che è la sua stessa natura istituzionale e statutaria: combattere la pirateria. O comunque, riteniamo non abbia svolto il ruolo che avrebbe potuto ovvero dovuto svolgere. Non c’è una campagna istituzionale una di cui si serbi buona memoria. Ci domandiamo se peraltro Fapav in passato è andata a bussare alla porta del Dipartimento Informazione ed Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri ovvero della Rai: possibile che le siano state sbattute in faccia, allorquando le sue funzioni sono certamente sintoniche con l’interesse pubblico?! Ci auguriamo che la nomina di Federico Bagnoli Rossi, professionista giovane ed appassionato, possa rappresentare soltanto il primo segnale di un cambiamento auspicabile, di una rigenerazione necessaria, di un salto di qualità nella vitalità ed incisività della Federazione. Crediamo anche che, per acquisire un ruolo significativo nel sistema dei media italiano, la Fapav debba essere dotata di risorse economiche adeguate, altrimenti – una volta ancora – si andrà a rimettere in scena un’ennesima versione dell’italica dinamica delle “nozze coi fichi secchi”.
In calce, riproduciamo il comunicato ufficiale, diramato a seguito della riunione del 22 marzo 2012:
“Si è tenuta ieri giovedì 22 Marzo 2012 presso la sede della Federazione l’Assemblea della Fapav. Tra gli argomenti all’Ordine del Giorno: la modifica dello Statuto, la nomina del Segretario Generale e dei membri del Comitato Direttivo. Il nuovo statuto della Fapav prevede come rappresentante della Federazione la figura del Segretario Generale. E’ stato eletto all’unanimità Segretario Generale della Fapav Federico Bagnoli Rossi, già in Federazione dal 2007 come Responsabile delle Relazioni Esterne ed Istituzionali. Nel corso dell’Assemblea si è proceduto, inoltre, alla nomina dei componenti del Comitato Direttivo, che ora risulta composto da Paolo Protti (Agis), Paolo Ferrari (Anica), Stefano Bethlen (Disney), Egidio Viggiani (Eagle Pictures), Gabriele Bonvini (Mediaset), Luciana Migliavacca (Medusa), Chris Marcich (Mpa), Richard Borg (Universal), Roberto Guerrazzi (Univideo) e Barbara Salabè (Warner). L’Assemblea degli Associati Fapav ringrazia il Presidente e il Segretario Generale uscenti, Filippo Roviglioni e Fabrizio Ferrucci, per il proficuo lavoro svolto che ha portato anche alla definizione della nuova struttura organizzativa della Federazione e per il prezioso apporto nella lotta alla pirateria condotto in questi anni”.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – A. ) 25 marzo 2012

Il passo indietro Agcom: tra “sconcerto” (Cci) e “farsa” (Fimi ed Anica)…

Con una secca nota (pubblicata sul proprio sito web, all’indirizzo: http://www.anica.it/online/index.php/news.html), anche l’Anica – Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali, dopo le dure prese di posizione di Confindustria Cultura (nella persona del Presidente Polillo) e di Fimi (nella persona del Presidente Mazza), ha bocciato senza mezzi termini il passo indietro dell’Agcom circa l’esercizio delle proprie competenze in materia di tutela del diritto d’autore, espresso dal Presidente, Corrado Calabrò, nella recente audizione al Senato.
Il Presidente Anica, Riccardo Tozzi, definendo “farsesco” il comportamento tenuto dall’Autorità nel corso dell’anno passato, tra annunci di volontà di esercitare tali poteri, imponenti lavori di consultazione con i “player” e repentine smentite, chiosa il comunicato dell’Associazione, auspicando che il Governo, nuovamente investito della questione, esca dall’immobilismo degli ultimi anni, ed adotti finalmente con urgenza quelle coraggiose misure di cui il settore dell’audiovisivo ha bisogno, per contrastare la pirateria e rinfocolare una cultura di legalità e qualità dei contenuti. Il Presidente dell’Anica ha fatto propria la stessa espressione utilizzata dal Presidente della Fimi: siamo alla “farsa”. Confindustria Cultura Italia aveva utilizzato un’espressione altrettanto efficace: “sconcertati”.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 25 marzo 2012

Le rassegne stampa “free”: a proposito di… “nuovi” modelli di business

Riproduciamo a seguito il commento che abbiamo postato sul sempre eccellente blog di Quintarelli:
“Caro Quintarelli, senza dubbio la questione delle “rassegne stampa” variamente messe a disposizione online gratuitamente, è delicata ed importante, però la segnalazione de “l’Espresso” temo finirà per determinare soltanto un meccanico rafforzamento delle logiche “walled garden” ed in generale “pay” (come Agom ha messo in atto tempestivamente, post-segnalazione/lamentazione!): il che, per un sostenitore del diritto d’autore e del copyright quale sono io, va bene, anzi benissimo. Mi stupisce che questa stretta… “repressiva” provenga però dalla stessa “fazione”, che, paradossalmente, su altre questioni, spesso teorizza allegramente l’uso “libero e bello” di contenuti audiovisivi di qualità… Due pesi e due misure?! La questione centrale è però altra: nel caso in ispecie, il ruolo di un “service” come Datastampa: qual è il rapporto tra questa società e gli editori di quotidiani periodici? essi beneficiano di un flusso di ricavi, dal servizio che Datastampa vende (ed a caro prezzo, peraltro) ad enti pubblici e società private ?! Io personalmente ed alcuni colleghi utilizziamo spesso queste rassegne stampa assai “free”, anche perché consentono una pre-selezione mirata per aree tematiche, ma tante volte ci siamo domandati quanto spendano, le Pubbliche Amministrazioni italiche, per acquistare da Datastampa il servizio. Qualcuno avrà mai effettuato una ricognizione in materia ?! E’ un bell’argomento, in materia di “nuovi” modelli di business, non credi ?! Buon lavoro e come sempre complimenti per la qualità dei tuoi commenti. Con stima, Angelo Zaccone Teodosi (a.zaccone@isicult.it) / www.isicult.it / www.italiaudiovisiva.it/blog “.

( a cura di Redazione Italiaudiovisiva – A. ) 23 marzo 2012

Pirateria “off-shore”: provocazioni “hi-tech” da ThePirateBay

Dopo aver rimosso l’utilizzo del file “torrent” (reputati “troppo tracciabili”) e promosso la diffusione dei soli “magnet-link”, dopo aver cambiato nome a dominio e sede ai propri server per quasi un centinaio di volte, gli amministratori del celeberrimo portale di ricerca, indicizzazione nonché tracker bit-torrent “ThePirateBay” hanno annunciato l’inizio delle sperimentazioni per un nuovo sistema di hosting “dinamico”, per i loro server principali: grazie alle nuove micro-tecnologie, il sito web potrebbe presto essere spedito in orbita, a bassa quota, su uno stuolo di “minidroni”, comandati via gps e disseminati in acque internazionali, in angoli strategici del globo.
In questo modo, sostengono gli amministratori del sito, tutti gli attacchi volti ad interrompere l’operatività di ThePirateBay dovrebbero essere fisici, ed implicare l’abbattimento dei droni in questione, costituendo, dunque, una sorta di vero e proprio “atto di guerra”.
Andando oltre l’evidente intento provocatorio delle dichiarazioni del tristemente noto portale di ricerca per download illegali (che già mesi fa dichiarava di voler dismettere il sito web, a beneficio di chiavette multimediali contenenti una versione miniaturizzata del portale, adatta a realizzare le ricerche senza necessità di caricare l’interfaccia di ThePirateBay), si può certamente cogliere il segno di una situazione critica: dopo il crollo del gigante Megaupload e la chiusura di molteplici portali e forum di scambio link, è evidente che il flusso dei download illegali stia tornando in prevalenza alla rete BitTorrent. Nulla di strano quindi, che i detentori del principale portale del web dedicato a BitTorrent cerchino di stimolare e “rassicurare” la propria utenza. La realtà è che, almeno per il momento, nessun metodo di download illegale è veramente “sicuro”.
Vedremo se ThePirateBay darà seguito o meno alle propie intenzioni…

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 22 marzo 2012

Agcom temporeggia: la delibera sul diritto d’autore online sfuma ?!

I primi commenti a caldo sembrano registrare una posizione “attendista” da parte del Presidente dell’Agcom Corrado Calabrò, che questa mattina ha presentato una corposa relazione (16 pagine) di fronte alla VII (Istruzione, Beni Culturali, Ricerca Scientifica, Spettacolo e Sport) e VIII Commissione (Lavori Pubblici e Comunicazioni) del Senato della Repubblica, nell’attesa audizione: secondo alcuni osservatori, Calabrò avrebbe deciso di passare la palla a Monti, facendo un passo indietro; secondo altri, avrebbe invece resistito alle pressioni del centro-destra, che è favorevole all’approvazione della ormai famigerata delibera…
Quel che è emerge, ancora una volta, è una dinamica incerta, un deficit di “decisionismo”, ed una complessiva assenza di “policy making” strategico. Si governa a vista, senza una progettualità di ampio respiro: in sostanza, senza una “policy”. Scrive Calabrò, nel paragrafo conclusivo della sua relazione: “Il nostro convincimento, intanto, è quello di applicare le leggi vigenti (nelle pagine precedenti, il Presidente Agcom articola in modo chiaro una autolegittimazione del proprio operato e difende la bozza di regolamento in gestazione, n. d. r.). Ci rafforza in tale convincimento la norma di legge predisposta dalla Presidenza del Consiglio che ribadisce la legittimazione dell’Agcom e ne definisce meglio la competenza e i poteri nella materia del diritto d’autore. Attenderemo che tale norma veda la luce prima di adottare il regolamento predisposto”. Quale sia questa “norma di legge predisposta dalla Presidenza del Consiglio” non è dato sapere, se non a Calabrò ed ai vertici apicali della Pdcm, che hanno evidentemente avuto il privilegio di elaborare o leggere in anteprima la bozza di un articolato di un possibile decreto-legge: curiosa prassi di riferimento arcano, sia consentito osservare.
La redazione del blog di Italia Audiovisiva, ovvero del progetto “Italia: a Media Creative Nation”, è convinta che la delibera dovrebbe essere approvata, e che essa appare peraltro timida rispetto all’esigenza di una migliore regolamentazione del diritto d’autore online e di una adeguata lotta alla pirateria. Si comprendono le ragioni dei contestatori, Agorà Digitale in primis (che si vanta di aver raccolto in rete due giorni oltre cinquantamila messaggi di protesta), ma crediamo che debba prevalere una visione di “policy making” evoluto e strategico, nell’interesse pubblico collettivo: la lotta alla pirateria digitale è e dovrebbe essere considerata – sia consentita la battuta enfatica – “guerra santa” contro chi mina le fondamenta dell’industria culturale, e non si deve confondere la democrazia digitale con la pirateria culturale.
Chi scrive queste note è peraltro un fautore della tanto vituperata (in Italia) “Hadopi 2″, ovvero della norma francese che inibisce al fruitore l’accesso ad internet, allorquando emerge una evidente vocazione piratesca dell’utente. La prospettata delibera Agcom è molto più moderata, e peraltro non interviene sul fronte finale, ovvero sul fruitore.
Calabrò ha sostenuto che Agcom aspetta una ”norma di legge predisposta dalla Presidenza del Consiglio”, per ribadire “la legittimazione dell’Agcom” ed affinché ne definisca meglio “la competenza e i poteri nella materia del diritto d’autore. Attenderemo che tale norma veda la luce prima di adottare il regolamento predisposto”. Quale sia questa norma in gestazione non è dato sapere: ci limitiamo però a qui ricordare la discreta confusione con cui il Governo Monti è intervenuto, nelle settimane scorse, in materia di “diritto d’autore”, attraverso l’articolo 39 del cosiddetto “decreto liberalizzazioni”, che ha determinato il superamento del monopolio Imaie nel settore dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori. Un intervento estemporaneo, su un “tassello” (piccolo, peraltro) del “puzzle” (che vede la Siae in ruolo centrale), in assenza di una “vision” globale delle problematiche del diritto d’autore, sempre più sottoposto alle sfide della globalizzazione e della digitalizzazione. Di fatto, Calabrò sembra aver accolto le tesi dei senatori Vincenzo Maria Vita e Luigi Vimercati (Pd), che hanno richiesto una “sospensiva”, ovvero di “rimandare l’approvazione del regolamento per coordinarlo con la discussione di una nuova normativa che possa diventare legge in tempi brevi, soprattutto a fronte della nuova iniziativa dell’esecutivo”. Si ricorderà che questa istanza era stata resa nota fin un mese fa (il 23 febbraio scorso): vedi il “post” che dedicammo il 24 febbraio alla notizia, segnalando la presa di posizione di quattro parlamentari, che invitavano Agcom ad “attendere”. Belisario dell’Idv, Perduca dei Radicali, Perina di Fli e Vita del Pd avevano dichiarato: “ribadiamo altresì la nostra soddisfazione per la sospensione – da parte dell’Autorità – del regolamento sul diritto d’autore, che comunque si sarebbe scontrato col regolamento pervenuto da parte della Commissione Europea, che avrebbe reso necessaria una nuova consultazione pubblica”.

Sia consentito un sorriso: “nuova normativa” sul diritto d’autore ?! una legge… “in tempi brevi” ?! E… quando ? E… dove ?! Ma dove vivono Vita e Vimercati, nel Paese dei Puffi ?!
Hanno osservato… quanto interesse ha dimostrato in questi mesi l’Esecutivo Monti rispetto alla materia cultura, media, spettacolo, arte ?!
Ed ora improvvisamente il Governo, illuminato sulla via per Damasco, decide di mettere mano, organicamente magari, alla complessa materia “diritto d’autore” ?!
Netta e forte la posizione di Confindustria Cultura: “Sconcertati per l’ennesimo temporeggiamento dell’Agcom sulla pirateria digitale. Il problema è politico, non giuridico (…) Stiamo attendendo da tempo infinito l’adozione di questo pacchetto regolamentare, che ha ricadute importanti, anzi fondamentali, per la cultura e i contenuti culturali italiani in rete – ha dichiarato il Presidente di Cci, Polillo – e per la sopravvivenza dell’industria culturale del nostro Paese. (…) Calabrò lo poteva dire sin da subito, che non voleva occuparsene, evitando così di buttare via due anni di lavoro”. La Fimi, a sua volta, dichiara che si tratterebbe ”di una farsa, dopo due anni di bozze, audizioni e delibere”, a fronte di una pirateria sempre più dominante: “la pirateria sta colpendo duramente l’offerta legale di musica in rete. Dieci piattaforme abusive ‘off-shore’ gestite da organizzazioni criminali controllano il 95 % del mercato del falso online con milioni di download ogni ora”, ha sostenuto il Presidente Mazza.
Si prevede una prossima audizione dell’Agcom tra qualche giorno, ma la data di convocazione è ancora incerta.
Come abbiamo già avuto occasione di scrivere, temiamo che prevalga, ancora una volta, la suprema legge che governa l’Italia: “Quieta non movere et mota quietare”, ovvero “Non agitare chi è tranquillo e tranquillizza chi è agitato”. Nel mentre, i pirati se la ridono, e tutti i segmenti dell’industria cultura italiana soffrono.

( a cura di Angelo Zaccone Teodosi – Redazione Italiaudiovisiva: a.zaccone@isicult.it ) 21 marzo 2012

 

 

Sequestri di siti internet illegali: l’amministrazione Usa recordman indiscusso

In una intervista al popolare magazine “Wired” (http://www.wired.com/threatlevel/2012/03/feds-seize-foreign-sites/), il portavoce dell’Ice (il dipartimento per immigrazione e dogana degli Usa), Nicole Navas, ammette che l’amministrazione Obama avrebbe già complessivamente ottenuto, negli scorsi anni, il sequestro di almeno 750 nomi a dominio internet, impedendo dunque l’accesso alle relative pagine.
La metodologia, messa a punto con perizia dal Dipartimento di Stato americano, è per verità molto semplice: tramite una complessa ragnatela burocratica, nel 1999 la società Network Solutions si assicurò la gestione di nomi a dominio “chiave” (in buona sostanza, della maggior parte dei nomi a dominio che finiscono in “.com” o “.ne”t). Nel 2000, Network Solutions è stata acquisita dalla società VeriSign, società di validazione e certificazione tra le più rinomate del web, con base negli States, già attiva in proprio come “registrar” di domini globali, la quale si è così ritrovata tra le mani il quasi-monopolio sui “.com” e “.net”, e che subaffitta tali domini a compagnie “registrar” in tutto in globo.
Questa architettura di rapporti fa sì che, per ottenere il sequestro (ma anche semplicemente l’oscuramento) di un sito internet con nome a dominio “.com”, sia esso legale o no, il Dipartimento di Stato non debba far altro, nel 90 % dei casi, che presentare motivata richiesta alla VeriSign, a prescindere, dunque, se il dominio sia stato registrato direttamente o tramite uno dei suoi partners licenziatari internazionali, e scavalcando dunque tutte le tradizionali barriere doganali in tal senso.
L’operazione sarebbe così semplice e di così immediato effetto da raggiungere numeri record, durante l’amministrazione Obama: ciò spiega perchè molti dei siti web più rinomati per le loro attività “non ortodosse”, quali il celebre ThePirateBay, abbiano progressivamente abbandonato il suffisso “.com”, optando per “registrar” diversi e non collegati a VeriSign.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 16 marzo 2012

Il caso “Ghost Rider”: anche i fumetti, alle volte, perdono le staffe (e le cause)

Sulla scia di numerosi altri casi, che hanno coinvolto negli scorsi decenni entrambi i celeberrimi publishers Marvel Enterprises e Detective Comics (meglio nota come “Dc”), portando alla ribalta le origini di storici personaggi dei fumetti (si pensi al più eclatante caso “Siegel and Shuster /v Dc” per i diritti di “Superman”, i cui esiti continuano ad essere incerti, tra pronunce contrastanti delle diverse corti adite, da ultimo, anche dagli eredi dei disegnatori in questione), nel gennaio scorso, la Corte Distrettuale del Distretto Sud di New York City ha rigettato il ricorso proposto dal disegnatore Gary Friedrich contro la Marvel Enterprises, stabilendo i pieni diritti di quest’ultima sul personaggio “Ghost Rider”, già protagonista di una pellicola cinematografica e di un imminente “sequel”.
Friedrich, autore di una certa fama nel mondo fumettistico, iniziò a lavorare presso la Marvel negli anni ’70, e, come molti altri suoi colleghi, ebbe la “sventura” di firmare una ricevuta di pagamento, proposta dall’editore intorno al 1978, condizionata alla cessione alla Marvel di ogni e qualsiasi diritto sui personaggi e sulle storie realizzate durante il periodo di impiego.
Forse dimentico di tale circostanza, sulla scia della discreta popolarità acquisita dal personaggio intorno al 2004, l’autore citò in giudizio la Marvel, sostenendo di aver creato il personaggio con la precisa intenzione di cederne i diritti di sfruttamento alla Skywald Publications, editore di alcuni suoi albi in quegli anni, ma di non aver potuto compiere tale cessione a causa del fallimento della casa editrice, avvenuto nel 1975. Contemporaneamente, Friedrich sostenne di aver firmato l’accordo del 1978 senza accorgersene, a causa dei suoi notori problemi di alcolismo. Obiettivo della causa del 2004 era, ovviamente, quello di ottenere parte dei profitti derivanti dal primo film sul personaggio, interpretato dall’attore Nicholas Cage, ed uscito nelle sale cinematografiche nel 2007. Fallito il primo tentativo dianzi al tribunale di East St. Louis (Illinois), Friedrich ha nuovamente intentato causa alla Marvel nel Distretto sud di New York, per otterere una quota dei diritti dalla commercializzazione di albi a fumetti, giocattoli, cartoni animati, film ed ogni altro genere di merchandising targato Marvel,legato al motociclista fiammeggiante.
La Corte Distrettuale di New York ha tuttavia valutato accuratamente tutte le circostanze a suo carico, esposte nel controricorso della Marvel Enterprises (ora divisione della The Walt Disney Company, a seguito della notoria acquisizione avvenuta nel 2009), ed ha respinto il ricorso di Friedrich, condannandolo anzi al pagamento di 17.000 $ per il “merchandising” di “Ghost Rider” da lui autonomamente prodotto ed illegalmente venduto negli scorsi anni.
Tutti gli analisti del settore hanno commentato il caso, evidenziando l’ironia della situazione: se davvero Friedrich avesse ceduto “Ghost Rider” alla Skywald e non alla Marvel, non solo il personaggio non avrebbe raggiunto la fama di cui gode attualmente, ma nemmeno avrebbe evitato il fallimento dell’editore horror indipendente.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 15 marzo 2012

Sky Italia contro tutti – La battaglia del telecomando prosegue, non solo in televisione

Con provvedimento del 10 febbraio 2012, il Consiglio di Stato ha sospeso cautelativamente l’esecutività della sentenza del Tar Lazio con la quale era stato dichiarato illegittimo il sistema “Lcn” (acronimo che sta per “Logical Channel Number”), imposto dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni nel “piano” delle frequenze televisive digitali.
La sentenza impugnata da Rti, Rai e da altri “player”, sostiene che il sistema imposto da Agcom, ed implementato a regime per la gestione delle frequenze televisive, sarebbe illegittimo, in quanto garantirebbe ai gestori televisivi tradizionali “maggior visibilità”, collocando i relativi canali su posizioni del telecomando facili da ricordare.
Il ricorso primigenio era stato presentato da Sky Italia, che ha sempre contestato di essere stata discriminata sin dal lancio del suo canale tematico in chiaro sul digitale terrestre (Cielo), e che aveva pertanto ottenuto dal Tar del Lazio la declaratoria di illegittimità del sistema automatizzato imposto da Agcom.
In attesa della pronuncia del Consiglio di Stato sul merito dell’appello proposto dai rivali in chiaro di Sky Italia, ci si limita a constatare che, a ben vedere, lo sconvolgimento delle posizioni dei canali sul telecomando del digitale terrestre avrebbe l’unico effetto di scoraggiare ulteriormente il telespettatore medio, la cui pazienza è già stata messa a dura prova dalla continua necessità di risintonizzare mensilmente il televisore, in questi tre anni di lento “switch-off” verso il digitale terrestre…
Sperando che la giustizia amministrativa di seconda istanza comprenda gli interessi in gioco e le problematiche sottese al rimescolamento dei canali, terremo d’occhio – è proprio il caso di dirlo – con attenzione la vicenda processuale.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 8 marzo 2012

Prosegue l’”effetto Megaupload”: chiude DdlFantasy.net

Prosegue, inarrestabile, quel che possiamo definire l’”effetto Megaupload”, di cui abbiamo scritto qualche tempo fa.
Il 1° marzo scorso, il celebre portale italiano “DdlFantasy.net”, divenuto nel tempo molto famoso per la notevole mole di film, videogiochi, video, musica ed ebooks distribuiti illegalmente (con numeri altissimi: parliamo di migliaia di utenti e migliaia di contenuti pubblicati in violazione di copyright nazionali ed internazionali), ha deciso di chiudere i battenti spontaneamente.
Giovedì scorso, complice la chiusura di Megaupload ed il comportamento “virtuoso” dei siti di file-sharing rimasti online, nonchè la cattura del pirata informatico “SidCrew” (come riportato anche dal blogger Quintarelli: http://blog.quintarelli.it/blog/2012/02/beccato-sid-crew.html), specializzato in distribuzione illegale di opere cinematografiche a pagamento, gli amministratori di uno dei portali più noti per la pirateria nel nostro Paese, i cui server erano collocati in Francia per sfuggire al sequestro, hanno chiuso DdlFantasy, lamentando di aver dovuto agire in tal senso per evitare di restare vittime di una “caccia alle streghe”, in corso per la tutela del copyright.
Al di là del tenore provocatorio di tali affermazioni, viene certo da chiedersi quanto abbiano effettivamente guadagnato tali signori dall’attività di illecita distribuzione e scambio di files, tra donazioni spontanee dai membri del portale ed introiti per spazi pubblicitari, in questi anni di attività del portale.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 5 marzo 2012

“Contrassegno Siae”: la Pronuncia del Consiglio di Stato: illegittimi i supporti senza contrassegno commercializzati dal 2000

Con sentenza depositata il 2 febbraio 2012, il Consiglio di Stato ha posto fine ad un caso giudiziario, avviato nel 2009 dalla società Edizioni Master s.p.a., avverso l’apposizione del controverso “contrassegno Siae” sui supporti distribuiti in allegato alle riviste.
La vicenda affonda le sue origini nel 2001: la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’adottare il proprio Decreto n. 331/2001 per discipinare la richiesta del contrassegno Siae per tali supporti (introdotta dalla legge n. 248/2000), ometteva la previa notifica del regolamento alla Commissione Europea. Per questa ragione, con sentenza dell’8 novembre 2007, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea dichiarava inapplicabile il Decreto, ai sensi della Direttiva del Parlamento e del Consiglio n. 98/34/CE.
A seguito della sentenza, la Edizioni Master richiedeva alla Siae ed alla Presidenza del Consiglio il rimborso dei contributi pagati per i contrassegni dal 2004 al 2008, ed iniziava a commercializzare supporti multimediali privi del contrassegno Siae.
Nel corso del 2008, la Presidenza del Consiglio dei Ministri elaborava un nuovo schema di regolamento per l’apposizione del contrassegno e, dopo alcuni passaggi di valutazione presso la Commissione Europea, adottava il nuovo regolamento, con Decreto n. 31/2009, stabilendo, tra l’altro, l’illegittimità della circolazione di supporti privi del contrassegno dal 2000 in poi.
Il Decreto n. 31/2009 veniva subito impugnato presso il Tar Lazio dalla Edizioni Master, che non era tuttavia riuscita ad ottenerne l’annullamento. Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato, pur cassando la pretesa sanatoria retroattiva dei pagamenti antecedenti il 2000 che la Presidenza aveva introdotto con il Decreto 31/2009, ha confermato la validità di tale regolamento, e quindi dell’obbligo di apporre il contrassegno Siae sui supporti multimediali di ogni tipo allegati alle riviste.

( a cura della Redazione di Italia Audiovisiva – G. ) 1° marzo 2012