Negli scorsi giorni, si è molto discusso della proposta di modifica del decreto legislativo n.70/2003 (attuazione della direttiva 2000/31/CE, la cosiddetta ”Direttiva e-commerce”), introdotta in commissione dall’onorevole Giovanni Fava (Lega Nord).
La modifica punta ad introdurre una piccola ma sostanziale modificazione all’articolo 16 di tale decreto, riguardante la responsabilità del “prestatore di servizi di hosting” per contenuti online: qualora venisse approvata dal Parlamento, la nuova versione dell’articolo in questione attribuirebbe responsabilità al fornitore di hosting per contenuti fuorilegge, non solo quando sia stato reso edotto da parte di autorità giudiziarie/amministrative, ma anche quando a comunicargli tale informazione sia stato qualunque soggetto interessato.
Riguardo questa possibile modifica, si è levato un coro di proteste, che hanno sostenuto che, con tale aggiunta, il d.lgs. 70/2003 assumerebbe contenuti simili alle iniziative statunitensi Sopa e Pipa (vedi commento in precedente post).
Per contro, altre autorevoli voci hanno sostenuto che il d.lgs., nella formulazione attualmente in vigore, non attuasse effettivamente la direttiva “e-commerce”, e che la modifica sanerebbe tale “svista” del legislatore italiano.
Al riguardo, è opportuno notare che l’ordinamento italiano è già conforme alla Direttiva 2000/31/CE, che fa salvo ogni maggior diritto degli Stati Membri di prevedere che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca una violazione e vi ponga fine.
Tuttavia, qualora la modifica venisse approvata nel testo proposto, aumenterebbero esponenzialmente le richieste di rimozione al prestatore di hosting, il quale sarebbe costretto ogni volta a decidere in propria coscienza (senza garanzia in caso di errore e possibilità di opporsi nell’ambito di un procedimento o, tanto meno, garanzia di contraddittorio per alcuno) se rimuovere o meno un contenuto ritenuto lesivo, con tutte le conseguenze – economiche e non – in caso di errore.
Questo scenario potrebbe non rappresentare l’ottimo, in quanto si finirebbe con il sostituire il giudizio del provider (che comunque non sarebbe obbligato a rimuovere, se non ritenesse di aver ricevuto prova di un illecito) al giudizio, attualmente previsto, del giudice, che invece è sicuramente vincolante per la rimozione.
La soluzione proposta non sembra dunque essere migliore di quelle studiate da Agcom nell’ambito delle proprie consultazioni sul tema, che, anzi presentano migliori garanzie quanto alla terzietà dell’accertamento sulla necessità o meno di rimuovere un contenuto che, peraltro, viene eseguito nell’ambito di un procedimento di ragionevole durata, e che offre garanzie, tanto al titolare dei contenuti quanto al destinatario dell’ordine.
(a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G.) 23 gennaio 2012