A distanza di qualche settimana dalla notizia della proposta di legge, attualmente all’esame del Parlamento tedesco, balzata alle cronache con il nome di “Lex Google”, il dibattito sul diritto d’autore online sembra ravvivarsi anche in Italia. Finalmente.
Con “Lex Google”, si intende ormai un meccanismo normativo che introduca forme di remunerazione per gli editori di giornali le cui notizie vengono fruite in rete attraverso l’indicizzazione da parte del più famoso motore di ricerca al mondo, Google appunto.
La questione riguarda senza dubbio gli editori della stampa quotidiana e periodica, ma è sintomatica dell’esigenza, ormai urgente, di una complessiva “normazione” evoluta e dinamica di quel che avviene nel “fantastico mondo” di internet.
Il 24 ottobre scorso, gli editori italiani riuniti nella Fieg (Federazione Italiani Editori di Giornali), gli editori francesi della Ipg (Association de la Presse), quelli tedeschi del Bdzv (Bundesverband Deutcher Zeitungsverleger) e della Vdz (Verband Deutcher Zeitschriftenverleger), hanno deciso di unirsi per fare “fronte comune”, in difesa del copyright dei propri contenuti editoriali online.
Gli editori di tre tra i maggiori Paesi dell’Unione Europea richiedono l’inserimento, nel quadro normativo dei Paesi di riferimento (ma il fenomeno ha caratteristiche che riteniamo veramente “universali”), di una disciplina che definisca un sistema di diritti di proprietà intellettuale, che possa dare vita a forme di cooperazione virtuosa tra titolari dei diritti di contenuti editoriali e giganti della rete.
Se da una parte, infatti, il calo di vendite di copie cartacee di giornali viene parzialmente “compensato” dalla fruizione delle notizie online (cresciuta fortemente nell’ultimo biennio), si lamenta, in tutti e tre i Paesi promotori di questa iniziativa, una situazione di complessiva difficoltà per l’industria editoriale dei giornali.
Le imprese editoriali accusano infatti, oltre alla generale crisi economica (che determina una diffusa riduzione dei consumi), un indebito sfruttamento dei propri contenuti da parte degli operatori della rete (Google in primis), che continuano ad aumentare il proprio fatturato grazie alla pubblicità.
È interessante riportare alcuni dati relativi all’Italia, la Francia, la Germania, forniti in occasione della presa di posizione congiunta delle associazioni degli editori dei tre Paesi, elaborata durante una riunione tenutasi a Roma il 24 ottobre 2012:
- in Italia, ogni giorno oltre 24 milioni di persone leggono in media un quotidiano. Tra il 2009 e il 2011, il numero di utenti di siti web di giornali, nel giorno medio, è salito da 4 a 6 milioni di utenti, con un incremento del 50 %. Rispetto all’utenza complessiva di internet, i lettori di giornali online rappresentano una quota pari al 47 %;
- in Francia, il 97 % dei francesi legge ogni giorno almeno un giornale (quotidiano o periodico); 25 milioni di francesi, ogni mese, consultano almeno un sito d’informazione; sono ben 8 milioni gli utenti mobili al mese e 1,4 milioni le persone che ogni trimestre accedono ai contenuti editoriali per il tramite dei loro tablet. Anche i giovani ne sono attratti: il 70 % di coloro i quali hanno un’età compresa tra i 25 e i 35 anni leggono i giornali su internet;
- in Germania, 47 milioni di persone di età superiore ai 14 anni leggono ogni giorno un quotidiano su carta (67 % del totale della popolazione) e i siti internet dei quotidiani tedeschi sono visitati ogni mese da 27,7 milioni di utenti unici (40 % della popolazione). Il 92 % della popolazione tedesca di età superiore ai 14 anni – pari ad oltre 65 milioni di lettori – legge periodici. I siti internet e le altre applicazioni degli editori tedeschi contano 13,8 milioni di utenti, corrispondenti al 72 % del traffico complessivo della Rete. Infine, per quel che riguarda i tablet, il 66 % di chi fa uso di iPad ha sottoscritto un abbonamento ad un giornale. Il mercato digitale oggi rappresenta il 10 % del fatturato degli editori tedeschi.
Si ricorda che il problema dell’indicizzazione degli articoli da parte del motore di ricerca ha recentemente determinato la fuoriuscita degli editori di giornali brasiliani – rappresentati dall’Associação Nacional De Jornais (Anj) – da Google News. “Google News beneficia commercialmente di contenuti di qualità e si oppone a qualsiasi forma di remunerazione. Stare con Google News non ci aiuta a crescere nel traffico digitale. Rimanere su Google non ci aumentava la visibilità online ma, al contrario, mostrare le prime righe dei nostri articoli riduceva la probabilità che i lettori andassero a leggere l’articolo completo”, ha sostenuto il Presidente dell’Anj, Carlos Fernando Lindenberg Neto. Hanno abbandonato Google News ben 154 editori, rappresentativi del 90 % dell’intera diffusione della stampa quotidiana e periodica in Brasile.
Google si difende dall’accusa, con la solita stranota tesi: che la presenza sul motore di ricerca Google News incrementa la diffusione delle notizie in rete, e quindi stimola il potenziale lettore ad acquistare i giornali, in edizione cartacea o meglio digitale.
Il fenomeno – nelle sue contrapposte interpretazioni – ha caratteristiche planetarie.
Esattamente come avvenuto per l’industria musicale, si registra però un diffuso e continuo, anno dopo anno, decremento del totale dei ricavi dell’industria dei giornali: una parte crescente dei ricavi deriva ormai dall’acquisto via internet, ma questo incremento non compensa il decremento di ricavi del business “materiale” (fisico). In sostanza, si assiste ad un trasferimento di ricchezza: dagli editori agli aggregatori. Con un piccolo dettaglio: gli editori investono in contenuti di qualità, gli aggregatori no. In economia, questo fenomeno si definisce “rendita parassitaria”.
In altri termini, internet sta determinando un processo continuo di depauperamento di queste industrie culturali, riducendo le chance di produrre contenuti di qualità. Sarà anche vero che internet moltiplica le chance di accesso universale a questi contenuti (con gran beneficio per la democrazia), ma impoverisce gli editori, i produttori di contenuto: ciò vale per gli editori dei quotidiani e periodici, così come per i broadcaster televisivi.
In sintesi: le notizie (su internet) piacciono, ma non pagano (chi le produce). Altresì dicasi per altri contenuti di qualità, dalla musica all’audiovisivo.
Secondo alcuni, gli editori di Francia, Germania ed Italia puntano ad emulare quel che avviene nel Regno Unito, ove la Newspaper Licensing Agency ha iniziato a chiedere soldi agli aggregatori di notizie, per la consultazione degli estratti online degli articoli a pagamento dei quotidiani. La differenza però è che in Germania ed anche in Francia si sta pensando di farsi pagare una commissione non solo sui servizi che gli editori offrono in abbonamento, ma anche per quelli gratuiti rilevati da Google.
L’iniziativa degli editori francesi e tedeschi è sostenuta dai rispettivi Governi: la Merkel ha fatto propria la battaglia degli editori, perché la ritiene giusta, per preservare l’occupazione ed una ricchezza materiale ed immateriale del Paese; anche la Ministro francese all’Innovazione e all’Economia digitale, Fleur Pellerin, che ha dichiarato che questa “guerra contro gli aggregatori” va combattuta tutti insieme in sede europea.
Per quanto riguarda l’Italia, non si registra alcuna presa di posizione da parte dell’Esecutivo Monti. Che, notoriamente, in materia di politiche culturali ed economie mediali, assume da mesi atteggiamenti alla Ponzio Pilato.
Si ricordi che a metà gennaio 2011 l’Autorità Antitrust italiana concluse l’indagine avviata nel 2009 contro Google per abuso di posizione dominante. Google assunse una serie di impegni, che avrebbero dovuto evitare rischi di distorsioni concorrenziali derivanti da una posizione passiva dell’editore a fronte dell’attività d’indicizzazione e dalla mancanza di trasparenza nella contrattazione con Google. Dichiarò in quell’occasione l’allora Presidente della Fieg Carlo Malinconico: “Gli impegni assunti da Google modificano a livello mondiale alcune politiche editoriali e commerciali collegate ai servizi Google News e AdSense, in una ottica di maggiore trasparenza e collaborazione. Si tratta di una prima risposta, cui deve seguire, come osserva la stessa Autorità, l’intervento del legislatore, per regolare la remunerazione dell’attività delle imprese che producono contenuti editoriali online, a fronte dello sfruttamento economico delle proprie opere da parte di altri soggetti. Occorre dunque una legge nazionale per superare l’oggettivo squilibrio, rilevato dall’Autorità, tra il valore che la produzione di contenuti editoriali genera per il sistema di internet nel suo complesso e i ricavi che gli editori online sono in grado di percepire dallo sfruttamento stesso”. Aggiungeva il Presidente della Fieg: “Nel contempo, la Fieg guarda con estremo interesse alle iniziative che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni potrà assumere a tutela del diritto d’autore”. Fatto è che, a distanza di quasi due anni, nessun segno di intervento è venuto dall’Agcom. Ad inizio ottobre 2012, in occasione di un convegno promosso da Confindustria Culturale, il Sottosegretario Peluffo ha sostenuto: “Rinnovo l’invito alla nuova Agcom, che già avevo rivolto al precedente Consiglio, di approvare rapidamente il regolamento contro la pirateria”. Dall’Agcom, per ora, tutto tace. Anche se a distanza di qualche giorno il Commissario Preto ha dichiarato: “In questo nuovo scenario, riveste dunque sempre maggiore importanza il diritto d’autore su internet. La tutela della proprietà intellettuale sul web non può essere un tabù, ma deve essere un volano per l’innovazione, per lo sviluppo dei contenuti legali e per l’economia del settore. Non vogliamo mettere il bavaglio al popolo della rete, ma garantire il rispetto dei diritti e delle regole. La rete non è terra di nessuno. (…) In questa direzione, l’enforcement dell’Agcom deve essere ispirato ai principi di proporzionalità, efficacia e celerità”. Bene. Si attende fiduciosi.
Nei giorni successivi alla levata di scudi, il Presidente francese Hollande ha incontrato il Ceo di Google, Schmidt, lasciando comprendere che entro l’anno si dovrà trovare una soluzione, e che, se Google non inizierà una trattativa con gli editori, interverrà il governo. Non tutti però si trovano d’accordo. I siti web di informazione che non dipendono da giornali e periodici o grandi gruppi editoriali si sono costituiti nella Spiil (Associazione della Stampa Online), e non condividono l’introduzione di una tassa, ritenuta una scelta errata e poco lungimirante sul lungo periodo, perché rischierebbe di portare alla riduzione del pluralismo informativo. Piuttosto,la Spiilritiene che Google dovrebbe pagare pienamente le imposte sugli utili, che, come molti ben sanno (e come abbiamo segnalato anche su questo blog), “Big G” evita, operando dall’Irlanda.
Dal canto suo, a minaccia, Google risponde con altra minaccia, ovvero quella di smettere di indicizzare gli articoli dei media francesi (in altri termini: “cancelleremo i link ai siti dei giornali”), proprio come è successo recentemente in Brasile.
Il Governo francese sembra però molto agguerrito: soprattutto il Ministro alla Cultura, Aurélie Filippetti, che gestisce il dossier, non sembra disposta a cedere. Il braccio di ferro è soltanto iniziato. Google risponde che non può accettare una misura del genere, che “mette in dubbio la sua stessa esistenza”.
Ci auguriamo che, al di là della onnipresente retorica dell’“internet magico”, finalmente si possa, in modo semplice quanto concreto, tornare a comprendere che le notizie sui giornali sono frutto del lavoro di qualcuno e, in quanto tali, prodotti che vanno pagati da chi li consuma. Come un romanzo. Come la musica registrata. Come un film. Come una fiction tv. Eccetera. Il “mito della manna” internettiana va sfatato. È urgente definire un sistema moderno dei diritti di proprietà intellettuale.
Non esistono ancora dati incontroverbili (anche per la perdurante assenza di trasparenza dell’economia di Google), ma secondo alcuni analisti, nel 2012 Google supererà Rai nella raccolta pubblicitaria. A fine settembre, in un convegno, Antonio Pilati (consigliere di amministrazione Rai, già consigliere dell’Agcom e dell’Agcm) ha sostenuto che “Google è ormai il secondo operatore di pubblicità in Italia. Ha superato la Rai ed è alle spalle solo di Publitalia”.
Si ricordi anche che, nello scorso luglio, Fabio Vaccarono ha lasciato Manzoni Advertising, concessionaria di pubblicità de L’Espresso-Repubblica, per diventare Country Manager di Google Italia: un’ulteriore conferma della vocazione alla crescita del gigante dei motori di ricerca nel business dell’advertising italiano.
Vedremo quali saranno gli esiti di questa vicenda, delicata e strategica, e certamente torneremo presto a scriverne su queste colonne.
( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 2 novembre 2012
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