Google ancora in piena… turbolenza

Ancora una volta, il gigante della rete Google è al centro di polemiche ed attacchi, per così dire policentrici…

Da una parte, ancora una volta, si riapre la querelle sul pagamento delle notizie indicizzate attraverso Google News, dall’altra 11 piccole aziende presenti in rete invocano un più incisivo intervento della Commissione Europea per limitare il potere di Google nel search.

Andiamo con ordine.

In merito al problema del pagamento per l’indicizzazione delle notizie, Google potrebbe incassare un altro duro colpo…

Lo scorso venerdì 22 marzo il Bundesrat tedesco (la cosiddetta “Alta Camera”, rappresentativa delle autonomie locali, ovvero i Länder) ha dato l’ok sulla proposta di legge ben nota come “Google Tax” (o anche “Link Tax”) sorta di “addenda” alla legge vigente in materia di copyright, che era stata approvata al Bundestag lo scorso 1° marzo (per un approfondimento vedi“Il Bundestag tedesco ha votato la Google Tax (“copyright ancillare”), ma non è ancora legge” del 4 marzo 2013).

I fautori di questa norma non possono però ancora cantar vittoria, perché, per completare l’iter, mancano ancora la firma del Governo federale e del Presidente. E l’approvazione definitiva del testo potrebbe essere soggetta ad una ulteriore dilazione temporale.. dopo l’approvazione, da parte del Bundestag, del progetto di legge, la Commissione Europea ha espresso la volontà di verificare se, in base a quanto previsto dai Trattati dell’Unione, il governo tedesco fosse tenuto ad informare gli organi comunitari al fine di coordinare una legislazione su base sia nazionale che europea. La Commissione sta quindi analizzando se la proposta deve essere presentata agli altri Stati membri prima dell’adozione. In  caso positivo, l’iter per la firma potrebbe subire uno slittamento fino a 18 mesi, visto che anche gli altri Stati membri avrebbero la possibilità di esprimere commenti e pareri sul provvedimento. E, inevitabilmente, il testo subirebbe delle modifiche. Restano quindi sospesi molti punti nonostante quest’altro passo avanti, che ha portato comunque ad un ulteriore “edulcoramento” del testo originale. Il testo attuale prevede che Google paghi gli editori per la pubblicazione, ovvero per l’indicizzazione delle intere notizie, dalle quali restano però esclusi gli “snippets”, ovvero piccole parti di testo, titoli et similia. Il testo originale era molto più severo e prevedeva che i motori di ricerca potessero pubblicare “stralci” dei giornali online solo dietro pagamento delle royalties o comunque dietro autorizzazione degli editori.

Si ricorda brevemente che la proposta di legge era stata presentata lo scorso agosto dalla coalizione di governo che sostiene la Cancelliera Angela Merkel – ovvero i cristiano-democratici della Cdu e i liberal-democratici della Fdp – e puntava ad una redistribuzione equa degli introiti che Google realizzava attraverso la pubblicità sfruttando contenuti di altri. La stessa battaglia, portata avanti dagli editori tedeschi, era peraltro ben condivisa dalla Francia – che è però addivenuta ad un accordo che poggia su altre basi (per un approfondimento vedi “Le “rassegne stampa” vampirizzate: in Francia, siglato accordo “storico” tra Google e l’Eliseo” del 4 febbraio 2013) – e dall’associazione degli editori di giornali italiani appartenenti alla Fieg – Federazione italiana editori di giornali, che non sembrano però aver raggiunto finora alcun successo. Si segnala peraltro che recenti notizie fanno presupporre anche in Regno Unito un accordo tra il governo, gli editori e “Big G” sulla falsariga di quello francese.

Quanto alla seconda vicenda, si è assistito nei giorni scorsi ad una levata di scudi di 11 “player” (imprese, associazioni o federazioni), europei ed americani, contro Google, accusato, ancora una volta, di abuso di posizione dominante nel mercato della ricerca online.

Gli undici “attori” – Foundem, Bdvz, ovvero la Federazione tedesca degli editori di giornali, Euro-Cities, Expedia, HotMaps, Streetmap, TripAdvisor, Twenga, Vdz, ovvero la Federazione tedesca degli editori di riviste, la Vtf, ovvero l’Associazione tedesca degli editori indipendenti e la Visual Meta –  in una lettera indirizzata al Commissario europeo per la Concorrenza, Joaquin Almunia, hanno richiesto un intervento incisivo contro Google, accusato di manipolare, in proprio favore, i risultati delle ricerche.

I firmatari hanno denunciato che Google, attraverso questo meccanismo di manipolazione, promuove i propri servizi e marginalizza o addirittura esclude i servizi dei competitor. Hanno quindi domandano quindi con veemenza al Commissario di intervenire (anche perché, si legge tra le righe, sono sfiduciati che rimedi effettivi possano scaturire dall’accordo tra Google e la Ue, che comunque sembra rimandato a dopo l’estate) affinchè Google utilizzi gli stessi standard per tutti, ed in tal senso hanno chiesto impegni seri ed espliciti per sanare questa situazione. Si leggeo “Google must be even-handed. It must hold all services, including its own, to exactly the same standards, using exactly the same crawling, indexing, ranking, display, and penalty algorithms” (Google deve essere costretta ad uniformarsi a principi di parità di trattamento, “gestendo i servizi, compresi i suoi, esattamente con gli stessi standard, utilizzando esattamente gli stessi algoritmi di indicizzazione, ranking, display, visualizzazione e penalizzazione).

Nei mesi scorsi Google ha provato ad avanzare proposte che potessero essere ben accette ai regolatori dell’Unione al fine di convincerli a chiudere il caso. In verità le proposte avanzate da Google non si conoscono, non essendo state rese note ma, secondo indiscrezioni dell’agenzia Reuters, Google si sarebbe offerta di etichettare i propri servizi nei risultati del search in modo da differenziarli da quelli dei competitor, ed avrebbe inoltre proposto di imporre meno restrizioni alle agenzie pubblicitarie”. La vicenda non era però stata chiusa. Si ricorda peraltro che la questione relativa al presunto abuso di posizione dominante di Google rimane aperta non soltanto all’interno dell’Ue, ma anche in America. In caso di verdetto positivo, ovvero in caso di acclarato abuso di posizione dominante, il motore di ricerca più famoso del mondo sarebbe costretto a pagare una multa di 5 miliardi di dollari o una cifra pari al 10% del proprio fatturato (il che è all’incirca equivalente, avendo Google fatturato oltre 50 miliardi di dollari nel 2012).

A questo punto non resta che attendere che la Commissione si pronunci.

 

(a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E.) 26 marzo 2013

Google e la privacy violata attraverso Street View

Attaccato su più fronti, “Big G” resiste, ma incassa un altro colpo. Molte sono infatti negli ultimi mesi le vicende che coinvolgono il gigante della rete…. Dall’evasione fiscale all’indicizzazione degli articoli di giornali – che hanno portato a recenti, seppur differenti, soluzioni in Francia e Germania (per un approfondimento vedi  i post “Le “rassegne stampa” vampirizzate: in Francia, siglato accordo “storico” tra Google e l’Eliseo” del 4 febbraio e “Il Bundestag tedesco ha votato la Google Tax (“copyright ancillare”), ma non è ancora legge” del 4 marzo) –, all’indagine, chiusa ad inizio anno dalla Federal Trade Commission sull’abuso di posizione dominante, fino alla questione al momento più discussa: la tutela dei dati personali.

Il problema coinvolge questa volta “Big G” per il servizio “Street View” per un caso che risale al 2010.

Come molti sanno il servizio è un “confort” ulteriore a Google Maps che consente di vedere, per così dire “dal vivo” (e non solo in una piantina modello “Tutto città” in chiave post-moderna) strade, piazze e vicoletti di moltissime località. E fin qui… tutto bene.

Sembra però esser emerso un aspetto inquietante della vicenda. Mentre le auto con telecamera di Google percorrevano le città statunitensi per fotografare, riprendere ed aggiornare le mappature, intercettando i segnali wi-fi presenti in molte case, siano riuscite ad impadronirsi di password e dati personali di milioni di utenti in base ad una pratica che viene definita del “wardriving” (che consiste nel trovare un access point (Ap) e registrarne la posizione. Infrangendo però le scarse misure di sicurezza tipiche di queste reti, è possibile accedere ai file personali).

Il che si traduce in una violazione della privacy su larga scala, perpetrata per anni, ai danni di milioni di utenti.

Dopo aver inizialmente negato, e successivamente accusato un ingegnere dello staff (impazzito), alla fine il gigante di Mountain View si è dovuto arrendere all’evidenza ed ammettere le proprie colpe di fronte ad una disputa legale promossa da ben 38 Stati Usa per proteggere la privacy dei cittadini.

Come risarcimento Google è stata condannata a pagare, per il danno arrecato, 7 milioni di dollari (circa 5 milioni di euro), cifra ridicola se si pensa al giro d’affari di “Big G”, che nel 2012 ha superato, per fatturato, i 50 miliardi di dollari (36 miliardi di euro)!!!

Ma, come sostiene il procuratore generale del Connecticut, l’importanza del patteggiamento risiede altrove. Google sarà obbligata, per la prima volta, a sottostare ad alcuni doveri, ovvero dovrà impegnarsi a controllare i propri dipendenti affinché non violino la privacy degli utenti e dovrà inoltre investire risorse per informare il pubblico e suggerire ai cittadini le migliori strategie per proteggere la riservatezza delle proprie informazioni.

Google dovrà quindi presentare, entro 6 mesi, un piano dettagliato sulle regole che andrà ad applicare per la tutela della privacy degli utenti, che poi dovranno essere divulgate attraverso campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e con un video informativo su YouTube.

Da un punto di vista simbolico si tratta certamente di una brutta sconfitta per Google.

Quali saranno le prossime vicende che vedranno coinvolto il “gigante G”? Per ora, in Italia, ci si limita ad attendere un segnale da parte degli editori di giornali, che pure si erano mossi, assieme a francesi e tedeschi, per ottenere una remunerazione all’indicizzazione degli articoli attraverso Google News e che, dopo i risultati ottenuti dai confinanti, si immaginava tornassero alla carica.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva  – E. ) 15 marzo 2013

Il Bundestag tedesco ha votato la Google Tax (“copyright ancillare”), ma non è ancora legge

Lo scorso venerdì, 1° marzo, il Bundestag tedesco ha approvato la così detta “Google Tax” (detta anche “Link Tax”), ovvero una sorta di “addenda” alla legge vigente in materia di copyright, anche se in una forma un po’ annacquata, come sostengono alcuni analisti. Alcuni osservatori sono arrivati a sostenere che, di fatto, la proposta di legge sia stata sostanzialmente bocciata, dato che è stata assai edulcorata.

La mozione, voluta e votata dalla maggioranza di centro-destra, con qualche defezione dei deputati più giovani, è passata con 294 voti a favore e 243 contro, ma questo non significa che diventerà effettiva, cioè legge dello Stato: in effetti, prima di diventare legge, la “Google Tax” necessita dell’approvazione del Bundesrat (la cosiddetta “Camera Alta” del Parlamento tedesco), dove l’opposizione di centro-sinistra detiene più voti della coalizione al governo. La seduta è prevista per il prossimo 22 marzo. L’iniziativa è sostenuta dal governo di Angela Merkel, ovvero dai cristiano-democratici della Cdu e dai liberaldemocratici della Fdp.

Si ricorda che il sistema tedesco ha qualche somiglianza con il bicameralismo italiano. In Italia, però, il Senato ha una funzione di riflessione ulteriore rispetto al processo decisionale della Camera, mentre in Germania la funzione della seconda camera è rappresentativa delle autonomie locali (i Länder).

La discussione sulla proposta di legge sembra finora essersi focalizzata su quelli che vengono definiti “snippets” (letteralmente “ritagli”), ovvero brevi parti di testo, titoli  o parti introduttive di una notizia. È stato infatti deciso che gli aggregatori – come Google – possano utilizzare, gratuitamente, questi brevi trafiletti… ma la lunghezza degli “snippets” non è stata definita. Dovrebbero essere brevi come un titolo di un giornale, ma non esiste un format fisso (per esempio, come per i 140 caratteri di Twitter).

Naturalmente, sono in molti a sostenere che questo ulteriore passaggio parlamentare potrebbe ridurre l’efficacia alla normativa, anche qualora dovesse divenire legge.

Va ricordato che Google non pubblica messaggi pubblicitari sulle pagine di Google News, e quindi non si ritiene in obbligo di pagare i diritti per gli articoli giornalistici che indicizza. D’altronde, secondo Mountain View, la pubblicazione del “content” giornalistico su Google News determina effetti positivi per gli editori tradizionali, perché contribuisce ad aumentare il traffico sui siti “online” dei giornali.

Si ricorda peraltro che, nei messi scorsi, Google aveva organizzato una importante campagna online (“Difendi la tua rete. Continua a trovare quello che cerchi”: www.google.de/DeinNetz), per bloccare l’approvazione della legge… obiettivo, a questo punto, in parte conseguito.

A seguito dell’approvazione, il portavoce del motore di ricerca nel Paese, Ralf Bremer, ha dichiarato, con cauta soddisfazione: “Con il voto odierno è stato arrestato il copyright ancillare nella sua forma più dannosa. In ogni caso la scelta migliore per la Germania sarebbe quella di desistere da una nuova normativa, perché essa danneggia l’innovazione, in particolar modo per le start-up”.

Una tesi non nuova, secondo la quale, “nel nome di internet”, si giustifica quasi qualsiasi comportamento.

Tuttavia, l’associazione di editori di giornali Bdvz (acronimo che sta per Federazione degli Editori di Giornali Tedeschi, associazione che rappresenta quasi 300 quotidiani tedeschi e 13 settimanali), facendo buon viso a cattivo gioco, ha replicato che “la legge  consentirà ai portali di stabilire le condizioni in base alle quali i loro contenuti verranno utilizzati dai motori di ricerca e dagli aggregatori di notizie per fini commerciali.”

Naturalmente a quanti ribadiscono che l’indicizzazione di notizie è un modo, a costo zero, per Google, di produrre ricavi, “Big G” ha risposto che costituisce una situazione “win-win” per il consumatore, che ha più facile accesso alle informazioni. Anche questa è una gran bella tesi, affetta da overdose di ottimismo.

Riportiamo qui a seguito alcune delle tesi degli editori tedeschi (tratte da un pamphlet Bdvz diffuso in questi giorni): “Ogni editore è evidentemente contento del traffico online sui propri siti web proveniente dall’esterno (…).  Molti motori di ricerca e gli aggregatori sono però di fatto divenuti editori, editori concorrenti.  Essi forniscono ai lettori ritagli di stampa, talvolta il testo completo degli articoli o addirittura copie complete delle testate. Il danno per gli editori è evidente: un testo che viene letto su un sito non gestito dall’editore perde valore, non può essere più venduto dall’editore o essere supportato con la pubblicità gestita dall’editore. Anche i ritagli di stampa con brevi estratti da articoli (“snippet”) finiscono per danneggiare l’editore. (…) Il traffico proveniente da motori di ricerca e aggregatori è positivo quando si passa “attraverso” i motori” (cioè quando il lettore, stimolato da un titolo, va a finire sul sito dell’editore).

La discussione intorno alla “Google Tax” ha riportato in campo la questione, argomento di accesi dibattiti in molti altri Paesi oltre i confini tedeschi, del pagamento degli editori per l’indicizzazione delle notizie da parte dei motori di ricerca – accusati di ottenere ricavi attraverso l’utilizzo di contenuti prodotti da altri.

Gli esiti della controversia – come si osserva – possono essere differenti. Si ricorda che lo scorso mese, dopo aver ricevuto attacchi simili in Francia e Belgio, Google ha concluso un “accordo storico” con la Francia (per un approfondimento si veda, su questo stesso blog, il post “Le “rassegne stampa” vampirizzate: in Francia, siglato accordo “storico” tra Google e l’Eliseo” del 4 febbraio 2013) ed ha siglato un “accordo di partenariato” con la stampa belga dopo una battaglia durata 6 anni. Si ricorda però, dall’altra parte, il caso del Brasile, Paese in cui non  è stata trovata alcuna mediazione. Poco più di un anno fa infatti, il 90 % degli editori ha deciso di uscire dal circuito di Google News in assenza di adeguata remunerazione…

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 4 marzo 2013