Pirati dei Caraibi…

Il titolo rievoca la famosa saga di 4 film della Walt Disney, ma questa volta invece più che di finzione si tratta di… cruda realtà. Sembra infatti che il governo dell’isola caraibica di Antigua abbia deciso di aprire un portale per la vendita di musica, film e software di provenienza non esattamente lecita, ovvero frutto di scaricamenti illegali. Dalle istituzioni di quella che un tempo era la “terra di pirati” emerge chiaramente l’intento di fare “un’isola pirata”… virtuale. Sono molti coloro che interpretano questa decisione come una sorta di rivalsa, ovvero vendetta contro gli Stati Uniti, che, avendo una legislazione molto rigorosa in materia di gioco d’azzardo, avrebbero bloccato l’accesso da parte dei cittadini americani a diversi siti specializzati originari dell’isola. Mossa che ha privato il piccolo stato caraibico di miliardi di dollari. Nonostante la strenue opposizione delle autorità Usa, che hanno cercato di ostacolare l’azione cavalcando l’onda della lotta alla pirateria, il progetto pare abbia ottenuto il “feu vert” del Wto, ovvero dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il futuro sito dovrebbe proporre (nelle intenzioni dei suoi creatori) un abbonamento da 5 dollari al mese per accedere – senza limiti – a tutti i contenuti. Una prospettiva degna del peggiore incubo di tutta l’industria creativa, da quella dell’audiovisivo a quella fonografica. Un segnale d’allarme sembra essere arrivato anche dalla Casa Bianca, considerata anche l’importanza ricoperta dalle major per le campagne elettorali “made in Usa”. Sono però in molti a sperare al miraggio dei… contenuti gratis per tutti. Una notizia del genere merita davvero una riflessione profonda. Qualora il portale caraibico divenisse effettivamente operativo, la perdita per il settore dei contenuti sarebbe… apocalittica, ed anche difficile da quantificare. Ci piace qui ricordare che pagare per fruire di contenuti di qualità non vuol dire arricchire coloro che li hanno prodotti, ma soprattutto immettere risorse per la rigenerazione del sistema. Senza risorse da reinvestire l’ecosistema produttivo andrà in crash, ed i contenuti di qualità (che si tratti di audiovisivi o musica poco importa) verranno meno. E, a quel punto, ci sarà davvero poco da gioire del “tutto gratis”, tralasciando le conseguenze di ciò in termini di depauperamento del sistema culturale, oltre che di forza-lavoro.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva  – E. ) 30 gennaio 2012

Piccole grandi lobby si muovono, tra Google e Internet

Riproduciamo di seguito un articolo che abbiamo pubblicato sul sito web di Millecanali (Sole24Ore), dedicato a due iniziative, in materia di internet, tenutesi a Roma ad inizio settimana.

Buona lettura

http://www.millecanali.it/piccole-grandi-lobby-si-muovono-tra-google-ed-internet/0,1254,57_ART_210756,00.html

Piccole grandi lobby si muovono, tra Google ed Internet

Il resoconto di due iniziative romane, tenutesi nello stesso giorno, che hanno come comune denominatore le nuove tecnologie: ‘Alleanza per internet’ e “Google Elections”.

Elena D’Alessandri e Angelo Zaccone Teodosi (*)

22 Gennaio 2013

La mattinata romana di martedì 22 gennaio si è caratterizzata per due, anzi tre, interessanti iniziative convegnistiche: la conferenza stampa per il progetto di “informazione politica” promosso da una joint-venture tra Google Italia, La Stampa e La7; la presentazione della neonata “Alleanza per Internet”; la conferenza stampa di Usigrai ed Articolo21 per una “agenda per la Rai” (alla quale ha partecipato encomiabilmente anche il Direttore Generale Luigi Gubitosi)… Qui ci soffermiamo sulle iniziative di lobbying (perché tali sono, al di là delle apparenze) su Google ed internet. Nuove voci e nuove energie per rilanciare (ma ce n’è necessità?!) la grancassa del web miracoloso, ovvero su internet e le sue (infinite?!) potenzialità, non soltanto intese in termini tecnologici ed economici, ma anche con riferimento alla democrazia, ed alle chances di rilancio del Paese. Il primo evento è stato ospitato nella sala del Garante per la Privacy (a Piazza Montecitorio): si è trattato della presentazione dell’“Alleanza per internet”. Quasi in perfetto orario (raro accadimento, nelle agende romane), la kermesse ha avuto inizio di fronte ad una sala gremita. Il programma della mattinata non era stato reso noto, per stimolare la curiosità. Ad aprire le danze, in veste di moderatore, il brillante quanto efficace Carlo Alberto Carnevale Maffè, accademico di indiscussa intelligenza e di efficace piglio, oltre che di una verve senza pari. Carnevale Maffè si è limitato a poche battute introduttive, tra le quali la più efficace – e che probabilmente ha sintetizzato il senso di tutto il suo discorso – è stato “internet è per tutti”.A seguire è stato proiettato un breve ed efficace video: sullo sfondo di immagini di città del mondo note ai più, sono stati snocciolati dati di fruizione di internet, cellulari, smartphone, social network (con confronto % tra Italia e media Europea), ed altro ancora. La parola è quindi passata a Franco Pizzetti, ex Presidente Garante Privacy ed ora primo promotore e Presidente di questa “Alleanza”. Pizzetti ha ringraziato più volte l’autorità ospitante e, nello specifico il Presidente Antonello Soro, nonché l’Autorità Garante nelle Comunicazioni, rappresentata dal Commissario Maurizio Décina (che è intervenuto “uti singuli” come aderente o in rappresentanza dell’Agcom come osservatore?! si ha ragione di ritenere che Agcom non possa aderire all’Alleanza, e Décina ha in effetti proposto alcune sue teorizzazioni, senza entrare nel merito della specifica iniziativa). Il tema centrale, più volte ribadito, è stato l’importanza di internet per la “vita di tutti i giorni”, un internet nel “rispetto delle regole” (da qui l’importanza dell’intervento delle due autorità). È quindi stata ribadita la necessità per l’Italia di recuperare terreno in un ambito in cui spesso viene relegata a fanalino di coda, per le stranote ragioni, di cui la limitata diffusione della banda larga è grave non meno della limitata alfabetizzazione informatico-telematica. Il “problema vero” è stato identificato da Pizzetti nel “ritardo culturale della classe politica verso l’economia digitale” e nell’aver troppe volte sottovalutato l’importanza della formazione: “non si digitalizza il Paese solo mettendo computer”, ha sostenuto (anche se – ci sia consentito – molti docenti della disastrata italica scuola non sarebbero d’accordo con lui…). Sono stati poi passati in rassegna l’annoso problema del diritto d’autore (la mitica regolamentazione Agcom che non arriva ancora…), la necessità di sviluppare l’e-commerce ed il mobile payment e di diffondere il wi-fi: questioni affrontate in modo adeguato in Paesi europei più evoluti. Oggi stesso, ha aggiunto Pizzetti, verrà inviata una lettera (successivamente letta da Raffaele Barberio, direttore della newsletter telematica “Key4biz”) ai leader delle principali coalizioni, chiedendo loro un serio impegno a sviluppare una autentica “società digitale”.È stata anche invocata la istituzione, nel prossimo governo, di un Ministero per lo Sviluppo Digitale. Pizzetti ha concluso sostenendo che si deve mettere fine a un’epoca in cui in Italia internet viene vissuto “all’interno di una chiesa medievale”, gli uni contro gli altri, e con molti esclusi. Il comitato promotore della “Alleanza”, di cui fanno parte diversi soggetti provenienti da differenti aree (da Franco Bernabè di Telecom Italia alla parlamentare Linda Lanzillotta, alla organizzatrice culturale Gabriella Cims, passando per colossi come Microsoft Italia e soggetti atipici come l’Università Link, fondata da Scotti…), mira a costruire una rete con le università, le imprese, la società civile, e ad intessere un rapporto con le autorità governative. Antonello Soro, dopo i saluti di rito, si è limitato a poche battute, ribadendo che internet è paragonabile alla “rivoluzione industriale” del Novecento, e che quindi una dinamica di convergenza tra i vari settori è essenziale per la modernizzazione del Paese. Ovviamente, in qualità di Garante per la Privacy, ha ribadito l’importanza della protezione dei dati personali e della sicurezza della rete. E – verrebbe da aggiungere – della necessità di non trincerarsi dietro l’anonimato in rete in nome della libertà di opinione: si pensi alla recente polemica su coloro, che, approfittando del web “libero e bello”, hanno reso onore al “compagno Prospero Gallinari”. Si veda, in argomento, il bell’articolo scritto da Benedetta Tobagi sulla prima pagina de “la Repubblica” del 15 gennaio, dal titolo significativo, “Se il carceriere di Moro diventa un eroe sul web”. La parola è quindi passata a Maurizio Dècina, Commissario Agcom, considerato da molti uno dei “padri” di internet in Italia. La sua frase di apertura è stata: “il bello di internet è che non si ferma”. Dècina ha proseguito sostenendo che la libertà di internet si snoda attraverso 2 passi fondamentali: la “net neutrality” e la “app neutrality”. Ha lamentato la mancanza di interoperabilità tra i diversi sistemi, che certamente danneggia il consumatore ed ha ribadito infine l’importanza di un accordo europeo in tema di alfabetizzazione digitale e sicurezza. A seguire, l’effervescente Carnevale Maffè ha invitato diversi stakeholder a proporre dei… “tweet vocali”. In primis Franco Bernabè di Telecom Italia e, successivamente, Franco Bassanini, ex Ministro e attualmente Presidente della poco nota ma potentissima Cassa Depositi e Prestiti (uno dei potenziali protagonisti nel nuovo scenario, in caso di dismissione della rete delle tlc). Bernabè ha ribadito l’importanza della alfabetizzazione informatica e ha proseguito evidenziando che l’Italia non si sta digitalizzando col pc, ma attraverso la telefonia mobile (in effetti, se, da una parte, siamo il fanalino di coda, dall’altra, nel “mobile”, l’Italia è ai primi posti in classifica). Ha poi evidenziato una peculiarità del nostro Paese: il percorso di “informatizzazione” e la spinta per gli investimenti infrastrutturali verrà trainato dalla Televisione, ancora indiscusso “media mainstream”. Anche Bernabé ritiene che internet sia uno strumento per rilanciare la competitività e la produttività del Paese. Bassanini ha esordito con “l’idea della Alleanza per Internet è buona, speriamo che non si areni come molte volte è successo in Italia con altri progetti”. Il problema fondamentale del momento è far riprendere la crescita e la competitività e, in tal senso, l’Agenda Digitale è un tassello importante del puzzle. Il problema però non è mettere su semplicemente una “agenzia digitale”, ma approvare i decreti attuativi, senza i quali né l’Agenda né l’Agenzia hanno molto senso. Infine, l’esigenza invocata – un po’ utopica, sia consentito – è quella di una “regia politica”. Seguono interventi ancora più “lampo”. Enzo Scotti (già ministro andreottiano e conoscitore di molti arcani della politica italiana) della Link Campus: “la sfida maggiore è quella dell’università”; “pensiamo di avere tutte le risposte, ma non ci rendiamo conto che l’innovazione ha in verità cambiato tutte le domande”. L’amministratore delegato di Almaviva, Alberto Tripi (noto anche come “il re dei call center”), “l’Italia deve diventare un Paese moderno, non modernizzato”. Elisa Manna, responsabile dell’area cultura del Censis: “Sono entrata nel comitato promotore perché ha intravisto un approccio sistemico”. Ed ha aggiunto: “Internet deve entrare nel lessico familiare”. Cristiano Radaelli, presidente Anitec (l’associazione che raccoglie le industrie dell’informatica, delle telecomunicazioni e soprattutto dell’elettronica di consumo, appena riconfermato alla presidenza dell’associazione aderente a Confindustria Digitale), “bisogna rendere internet più conveniente – rispetto a tutti gli altri mezzi – per tutti (in termini economici)”.Questo risparmio derivante dall’utilizzo della rete convincerebbe molto più di altri “appeal” il consumatore medio. Linda Lanzillotta, deputata, già Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie locali nel Governo Prodi e membro della Commissione Affari Costituzionali, nonché attualmente candidata di punta della Lista Monti, “la governance digitale dovrebbe essere in capo al Primo Ministro”. In conclusione, Michele Ficara, Direttore editoriale di Assodigitale.it, ha sostenuto che “la tecnologia è l’ultimo dei problemi”. A poche centinaia di metri, in contemporanea, presso la sede della associazione della Stampa Estera, una sala affollata soprattutto di giornalisti stranieri, per la presentazione di “Google Elections”. Molti collegamenti Tv, decine di mac in sala, più svariati tablet più svariati smartphone (ma “è la modernità, bellezza” – direbbe qualcuno). A moderare il dibattito il giornalista Gianni Riotta, a presentare il progetto Simona Panseri per Google (responsabile comunicazione della filiale italiana), Marco Bardazzi per “La Stampa” (è editorialista del quotidiano torinese) e Gianluca Visalli per La7 (è responsabile new media Telecom Italia Media/La 7). Il fatto: Google dispone di questa piattaforma già usata e sperimentata in altri Paesi durante le elezioni, che adesso lancia anche qui in Italia. Ci hanno tenuto a sottolineare che questa è una versione “customizzata” apposta per noi. A raccontarla è più complicato che a vederla. È una pagina che permette l’interazione tra l’informazione e i cittadini i politici e la campagna elettorale (quelli che navigano ovviamente – che sono una parte soltanto dell’italica popolazione – ma questo nessuno lo ha rimarcato…). Google ci ha tenuto ha sottolineare che loro non si occupano dei contenuti (ma va?!), ed è per questo che ha lanciare e supportare questo progetto ci sono due “media partner” di prestigio: La7 e La Stampa. I “perché” sono presto detti: entrambi collaborano da molto tempo con Google in vari progetti. La7 è la Tv che da più tempo e forse quasi da prima di ogni altra in Italia ha aperto il canale su YouTube e La Stampa è la prima ad aver sperimentato la modalità dell’“hangout” per stimolare i dibattiti su temi di interesse politico/sociale (gli “hangout” – per chi non lo sapesse ancora… – sono videochat di gruppo a cui possono partecipare un numero definito di persone). L’home page ha a sinistra il canale YouTube in evidenza (viene gestito editorialmente da La7), la colonna di destra con le pagine dei partiti, dei protagonisti della campagna elettorale, eccetera, ovviamente loggati su Google Plus, mentre nella parte inferiore ci sono i “feed” alle notizie selezionate non dall’algoritmo di Google, ma da una serie di “tag” e parole-chiave, gestite dal quotidiano ‘La Stampa’. La7 ha aggiunto che loro hanno messo a punto un’applicazione che permetterà di navigare tutto il contenuto che La7 produrrà in tema di elezioni. ‘La Stampa’ è più orientata a produrre dialogo, dibattito tra i cittadini e i candidati politici, a moderare gli “hangout”. Il quotidiano è anche promotore del premio “1 App 4 Democracy”, un concorso che premierà le applicazioni che saranno in grado migliorare l’interazione tra i cittadini e gli esponenti politici attraverso le nuove tecnologie. Fin qui, la prima parte della conferenza, seguita da qualche domanda di giornalisti stranieri. Nella seconda parte, un assaggio di tutto ciò con Renato Brunetta (Pdl), Andrea Romano (Lista Monti), Pippo Civati (Pd), a moderare Alessandra Sardoni di “Omnibus” (La7), ed al tavolo anche Laura Bononcini (Policy Manager per l’Italia). Qui ha prevalso… la noia, in pieno stile delle italiche campagne elettorali: vecchi o nuovi media che siano, sembra che purtroppo cambi poco. A parte politici, che ora si divertono a rispondere a domande che sono frutto di un tweet. E la chiamano democrazia… Conclusivamente, due curiose iniziative “parallele”, entrambe finalizzate ad enfatizzare le “magnifiche sorti e progressive” del web. In entrambe le iniziative, la questione che pure dovrebbe essere al primo punto della “agenda digitale”, ovvero la produzione di contenuti originali di qualità, è stata oggetto di minima attenzione. Citando Moretti: “continuiamo così, facciamoci del male…”. (ha collaborato Claudia Lo Presti)
(*) Elena D’Alessandri e Angelo Zaccone Teodosi sono, rispettivamente. Responsabile di Ricerca e Presidente IsICult (www.isicult.it).

 

 

 

L’esito (fallimentare) dell’Itu conference di Dubai

La situazione di stallo che si era determinata nella prima settimana della International Telecommunication Unit (Itu) di Dubai aveva preannunciato una difficile soluzione del meeting organizzato dalle Nazioni Unite per modificare gli accordi internazionali che regolano le telecomunicazioni, e quindi, in generale, il destino di internet. Alla fine della conferenza di Dubai, durata ben due settimane, tra il 3 ed il 14 dicembre, questo l’esito:

- l’Onu ha approvato un accordo con 77 voti a favore e 33 contro;

- dei Paesi invitati a partecipare, soltanto 89 Paesi – tra cui Cina, Russia, Brasile, Arabia Saudita – hanno sottoscritto il nuovo trattato;

- 55 Paesi hanno contestato il nuovo trattato. Tra questi figurano giganti come gli Usa, il Canada ed il Regno Unito, che lo hanno definito “censorio” delle libertà di internet, opera di governi non esattamente democratici, ed hanno abbandonato l’aula;

- altri Paesi, tra i quali l’Italia, sono rimasti in sostanziale stand-by, nell’attesa di decidere cosa fare.

Insomma, il meeting tanto atteso è stato un sostanziale “flop”.

E, soprattutto, il testo del nuovo trattato, da molti giudicato lesivo delle libertà della rete, nonostante le rassicurazioni del Segretario Generale dell’Itu, Hamadoun Touré, può esser soggetto a varie interpretazioni, il che determinerà una differente applicazione nei diversi contesti in cui verrà ratificato.

Alcuni analisti hanno ragione di ritenere che la “battaglia di internet” sia divenuta un “affaire” geopolitico all’interno di una nuova “guerra fredda”. Stavolta dunque la cortina di ghiaccio si andrà ad erigere tra i Paesi firmatari e coloro che invece non hanno firmato. Il nuovo trattato, in generale, affida un maggiore potere ai singoli Governi in materia di internet. E questo spaventa Paesi come gli Stati Uniti, che intendono battersi per mantenere l’attuale equilibrio “multistakeholder”. Allineato alle posizioni statunitensi, naturalmente, il gigante della rete, Google, i cui rappresentanti hanno dichiarato “Ciò che risulta chiaro è che molti Paesi vogliono aumentare la regolamentazione su Internet e censurare la Rete. Google sta dalla parte dei Paesi che rifiutano di siglare il trattato, e dei milioni di voci a favore di un open e libero web”. E finanche  Robert McDowell, Commissario della Federal Communications Commission, si è schierato sul medesimo versante, sostenendo che “solo una rete isolata dalle regolamentazioni governative non mina gravemente il successo del modello multistakeholder della governance di internet“. Se, da una parte, è evidente che gli Usa cercano di proteggere i propri interessi, dall’altra parte appare altrettanto evidente che non ci sarà un nuovo trattato condiviso per la regolamentazione delle tlc e di internet. Il trattato, in ogni caso, entrerà in vigore solo nel 2015, e quindi nel prossimo biennio potrebbero cambiare ancora molte cose, anche in considerazione del fatto che il nuovo meeting Itu si terrà nel 2014 nella Corea del Sud.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 2 gennaio 2013