Editori europei contro Google: dopo Francia Italia e Germania, si alleano Portogallo e Svizzera

Continua la guerra senza quartiere degli editori europei di giornali contro Google e nuovi attori scendono in campo. Al fianco dei colleghi francesi italiani e tedeschi, si sono mossi anche gli editori portoghesi e quelli svizzeri. Gli editori dei 5 Paesi si stanno coordinando sul piano internazionale, e stanno chiedendo con veemenza ai rispettivi governi forme di tutela adeguate per i loro contenuti in questa nuova “era digitale” al fine di ottenere adeguata remunerazione per lo sfruttamento delle loro opere editoriali.
Intanto, in Germania è iniziato oggi l’esame al Parlamento della cosìdetta “Lex Google”, che intende tutelare i diritti di proprietà intellettuale online. Nel mentre “Big G”, alcuni giorni fa, ha lanciato una campagna di raccolta firme contro l’approvazione della legge che limiterebbe, a suo dire, la libertà di internet.
Anche all’interno del Parlamento tedesco stanno emergendo spaccature rispetto alla questione se Google debba o meno pagare il cosìdetto “ancillary  copyright”, ovvero una sorta di “copyright ausiliario” per le poche righe di notizie reperibili in rete tramite i motori di ricerca o gli aggregatori di news.
Tutti gli editori scesi in campo, compresa l’associazione italiana Fieg, concordano sul fatto che “Big G” debba re-distribuire alla carta stampata parte dei suoi consistenti ricavi pubblicitari. Basti in tal senso pensare che dati resi noti dalla World Association of Newspaper hanno mostrato che tra il 2005 e il 2011 i ricavi pubblicitari dei giornali, a livello globale, sono calati da 195 a 76 miliardi di dollari Usa, e che, allo stesso tempo, i ricavi dei giornali dipendenti dalla pubblicità online sono cresciuti appena da 2 a 3,2 miliardi di dollari.
Intanto, in Francia è stato nominato un mediatore nella controversia tra gli editori ed il gigante di Mountain View, che dovrebbe permettere di trovare una forma di accordo tra le parti entro l’anno. Diversamente, interverrà il Parlamento con una specifica proposta di legge.
La battaglia dell’Europa contro Google non si consuma soltanto sull’impervio sentiero del copyright. Nuove polemiche e nuovi attacchi puntano agli altri grandi temi: evasione fiscale  e posizione dominante nel mercato del “search”…

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 30 novembre 2012

La Corte di Giustizia Ue: le Direttive vigenti non ostano all’identificazione di un pirata tramite indirizzo Ip

Con una recentissima sentenza (resa nella causa C-461/10 – Bonnier Audio Ab / v Perfect Communication Sweden Ab, disponibile all’indirizzo http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=?docid=121743&doclang=IT&mode=req&cid=1153798), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha esaminato una importante questione di diritto, in tema di pirateria: la possibilità o meno, per le normative degli Stati Membri, di attribuire ai giudici nazionali specifici poteri di ingiunzione nei confronti degli operatori di rete, per rendere possibile il rilascio dei dati identificativi dell’utente che distribuisce illegalmente contenuti attraverso un certo indirizzo Ip.
La controversia da cui promana il caso comunitario vedeva coinvolte una “collecting society” (la Bonnier Audio), che aveva richiesto al proprio giudice nazionale di conoscere l’identità del soggetto che diffondeva via Ftp tramite un certo indirizzo Ip, copie illegali di propri audiolibri, e l’internet provider (la Perfect Communication Sweden) che forniva connettività al presunto pirata.
La Perfect Communication Sweden, che di fatto aveva assegnato l’indirizzo Ip contestato al presunto pirata, opponeva la riservatezza del contenuto delle comunicazioni del proprio cliente, e si trincerava dietro una supposta illegittimità della normativa nazionale che attribuiva al giudice il potere di ingiungere la “disclosure” dei dati personali del presunto pirata.
L’ingiunzione, concessa dal Tribunale di primo grado, veniva impugnata presso la Corte d’Appello di Svea, che sollevava questione pregiudiziale comunitaria in merito alle deduzioni dell’internet provider.
Nella sentenza in commento, la Corte di Giustizia compie una accurata ricognizione della normativa contenuta nelle Direttive Comunitarie in materia di diritto d’autore, privacy e telecomunicazioni, evidenziando le molte tutele, strumenti e scopi delle stesse, e giungendo infine alla considerazione che nulla, nel testo delle stesse, sembra ostare al riconoscimento di un tale potere alla magistratura di uno Stato Membro, e che anzi le Direttive stesse hanno sinora curato di lasciare spazio di azione agli Stati Membri in proposito, così da offrire ogni maggior grado di tutela ai soggetti coinvolti, nel bilanciamento degli interessi che vengono in contatto.
Seguiremo dunque con attenzione gli sviluppi e gli effetti che questa sentenza potrà avere in ambito europeo, ma riteniamo qui anzitutto opportuno evidenziare come la sentenza modifichi il precedente orientamento comunitario, espresso nel caso “Promusicae”, che aveva ritenuto necessario, nel bilanciamento degli interessi, attribuire carattere di prevalenza al diritto alla privacy sulla tutela giudiziale del diritto d’autore, e sostanzialmente consenta per la prima volta espressamente l’attribuzione a livello nazionale di poteri di ingiunzioni di “disclosure”, quale quella richiesta alla magistratura svedese.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 27 novembre 2012

Graziano (Partito Democratico): “Fare pagare le tasse a Google”

Segnaliamo, senza qui commentare, un odierno dispaccio di agenzia che riteniamo interessante:

Roma, 22 novembre 2012 (TmNews) – Google non paga le tasse in Italia e c’è chi chiede l’intervento del governo per tassare il colosso Usa. “Il mancato pagamento delle imposte da parte di Google sulle attività realizzate nel nostro Paese va chiarito e impedito”. Stefano Graziano, deputato del Partito Democratico, membro della Commissione Finanze della Camera, ha presentato oggi un question time in Commissione per chiedere al Ministro Grilli di far luce su quanto riportato dagli organi di stampa e di adottare misure normative nei riguardi di tutti quei colossi americani del commercio on-line, che, come Google, sfruttano ingegnerie finanziarie offerte dalle disparità dei sistemi fiscali europei e riescono a non pagare le tasse nel nostro Paese.
“Consentire alla multinazionale di trasferire in Paesi a fiscalità privilegiata, come l’Irlanda, i profitti in crescente aumento realizzati in Italia evitando le imposte italiane sui ricavi, che secondo alcune stime si aggirerebbero intorno a 80 milioni di euro nei soli anni 2002-2006″. Il deputato Pd ha quindi aggiunto che “è intollerabile perché va contro la politica governativa di lotta all’evasione fiscale e costituisce un mancato incasso per le finanze pubbliche, ma anche ingiusto perché mortifica i sacrifici di cittadini e imprese che stanno fronteggiando una profonda crisi, scontano un’elevata imposizione fiscale e che così subiscono uno svantaggio sleale. “A questo punto – ha concluso Graziano – mi aspetto che il Governo intervenga quanto prima sul caso, adottando una norma simile a quella prevista nel decreto crescita al Senato sulla vicenda Ryanair”.

Il “caso” YouTube Downloader: l’interpretazione di Prosperetti

Riproduciamo, con il placet dell’autore, un interessante “post” pubblicato oggi (22 novembre 2012) dall’avvocato Eugenio Prosperetti, sul suo blog “Eugenio Blogging Italia Media & Tlc Law”:
http://tmtlaw.typepad.com/eugenios_italian_telecom_/

Il “caso” YouTube Downloader.

Una discussione nata ieri, sparsa tra tweet, post, mail e forme più tradizionali di comunicazione che mi ha visto coinvolto, assieme a stimati colleghi, amici tecnologi e giornalisti di settori mi impone di fare un post per chiarire (raggruppare) come la penso io. A scanso di equivoci. La vicenda e’ questa, ben raccontata da Riccardo Luna:

La App made in Sicily più scaricata del mondo non c’è più

Premetto che non conosco la App in questione direttamente e che ho appreso la notizia dai tweet e post ad essa relativi. Aggiungo anche che il caso mi interessa come “caso scientifico” e non professionalmente. Ciò detto, questo è ciò che ne penso:
1) forse la app in questione può aver fatto violazioni di sorta di marchi o altro, ma non è per questo che stiamo parlando di questo caso. Ipotizziamo un’applicazione identica con un altro nome e ragioniamo su quella;
2) il caso è interessante perché sembrerebbe riguardare una app molto scaricata che viene espunta da un market digitale per “incompatibilità” con dei terms and conditions di un partner commerciale del provider di questo market (almeno così pare). Se così fosse, non rileva nemmeno che la app violi effettivamente i terms di YT ma solo se lo store li utilizza come parametro di “accoglienza” delle applicazioni indipendenti. Il quesito (scientifico) è, lo può fare? Chi altro lo fa? Lo dichiara nelle proprie condizioni? Gli store digitali hanno limiti alla propria discrezionalità nell’accogliere apps di terzi insomma? Se poi si scoprisse che basta cambiar nome per riaverla sul market il caso si sgonfia ma e’ veramente cosi’?
3) La discussione, da questo, si è spostata (e continua a spostarsi) su ciò che fa l’applicazione in questione. Ci sono dei profili tecnici che bisognerebbe analizzare (carte alla mano e in più di 140 caratteri). Tuttavia, limitatamente a quel che consente un post a carattere scientifico, mi limito a dire che YT è un mondo di contenuti non uniformi tra loro: non si può dire che siano tutti tutelati e tutelabili dal diritto d’autore (c’è di tutto, anche video che non possono essere definiti “opere dell’ingegno”, materiale in pubblico dominio, materiale il cui titolare non può essere rintracciato, ecc.). Ciò detto, come possiamo essere certi che YT ha il diritto assoluto di vietare a chiunque (anche a utenti non registrati) di fare qualsiasi operazione con qualsiasi contenuto da esso ospitato? E’ delegato dal titolare dei diritti a far questo? Dove non c’è titolare dei diritti come funziona?  La mia impressione è che ci sono casi diversi da valutare specificamente. Mi pare si dia troppo spesso per scontato che i contenuti di YT sono tutti “protetti” e di proprietà certa.
4) Quel che mi sembra e’ che la questione (contrattuale, non di “illegalità”) sia tra YT e il developer, se ci sono stati specifici accordi e tra YT e gli utenti, per quel che riguarda l’uso che ne e’ stato fatto (legittimo/illegittimo). Per questo ho ritenuto di spostare l’attenzione sul piano dei contratti. Non ho detto altro che dobbiamo prestare attenzione agli aspetti contrattuali e farlo caso per caso, senza generalizzare parlando di illegalita’ per violazione di Terms of Service (con una pericolosa equiparazione tra ToS e legge).
Ci sarà comunque ancora molto da discutere. Temi simili vanno avanti dall’invenzione del videoregistratore con il celebre caso “Betamax”.
Aggiornamento: su questo tema mi hanno chiesto di scrivere un articolo per Che Futuro.
Eccolo.
Roma, 22 novembre 2012.

L’alleanza degli editori europei di giornali contro “Big G”

A distanza di qualche settimana dalla notizia della proposta di legge, attualmente all’esame del Parlamento tedesco, balzata alle cronache con il nome di “Lex Google”, il dibattito sul diritto d’autore online sembra ravvivarsi anche in Italia. Finalmente.
Con “Lex Google”, si intende ormai un meccanismo normativo che introduca forme di remunerazione per gli editori di giornali le cui notizie vengono fruite in rete attraverso l’indicizzazione da parte del più famoso motore di ricerca al mondo, Google appunto.
La questione riguarda senza dubbio gli editori della stampa quotidiana e periodica, ma è sintomatica dell’esigenza, ormai urgente, di una complessiva “normazione” evoluta e dinamica di quel che avviene nel “fantastico mondo” di internet.
Il 24 ottobre scorso, gli editori italiani riuniti nella Fieg (Federazione Italiani Editori di Giornali), gli editori francesi della Ipg (Association de la Presse), quelli tedeschi del Bdzv (Bundesverband Deutcher Zeitungsverleger) e della Vdz (Verband Deutcher Zeitschriftenverleger), hanno deciso di unirsi per fare “fronte comune”, in difesa del copyright dei propri contenuti editoriali online.
Gli editori di tre tra i maggiori Paesi dell’Unione Europea richiedono l’inserimento, nel quadro normativo dei Paesi di riferimento (ma il fenomeno ha caratteristiche che riteniamo veramente “universali”), di una disciplina che definisca un sistema di diritti di proprietà intellettuale, che possa dare vita a forme di cooperazione virtuosa tra titolari dei diritti di contenuti editoriali e giganti della rete.
Se da una parte, infatti, il calo di vendite di copie cartacee di giornali viene parzialmente “compensato” dalla fruizione delle notizie online (cresciuta fortemente nell’ultimo biennio), si lamenta, in tutti e tre i Paesi promotori di questa iniziativa, una situazione di complessiva difficoltà per l’industria editoriale dei giornali.
Le imprese editoriali accusano infatti, oltre alla generale crisi economica (che determina una diffusa riduzione dei consumi), un indebito sfruttamento dei propri contenuti da parte degli operatori della rete (Google in primis), che continuano ad aumentare il proprio fatturato grazie alla pubblicità.
È interessante riportare alcuni dati relativi all’Italia, la Francia, la Germania, forniti in occasione della presa di posizione congiunta delle associazioni degli editori dei tre Paesi, elaborata durante una riunione tenutasi a Roma il 24 ottobre 2012:
- in Italia, ogni giorno oltre 24 milioni di persone leggono in media un quotidiano. Tra il 2009 e il 2011, il numero di utenti di siti web di giornali, nel giorno medio, è salito da 4 a 6 milioni di utenti, con un incremento del 50 %. Rispetto all’utenza complessiva di internet, i lettori di giornali online rappresentano una quota pari al 47 %;
- in Francia, il 97 % dei francesi legge ogni giorno almeno un giornale (quotidiano o periodico); 25 milioni di francesi, ogni mese, consultano almeno un sito d’informazione; sono ben 8 milioni gli utenti mobili al mese e 1,4 milioni le persone che ogni trimestre accedono ai contenuti editoriali per il tramite dei loro tablet. Anche i giovani ne sono attratti: il 70 % di coloro i quali hanno un’età compresa tra i 25 e i 35 anni leggono i giornali su internet;
- in Germania, 47 milioni di persone di età superiore ai 14 anni leggono ogni giorno un quotidiano su carta (67 % del totale della popolazione) e i siti internet dei quotidiani tedeschi sono visitati ogni mese da 27,7 milioni di utenti unici (40 % della popolazione). Il 92 % della popolazione tedesca di età superiore ai 14 anni – pari ad oltre 65 milioni di lettori – legge periodici. I siti internet e le altre applicazioni degli editori tedeschi contano 13,8 milioni di utenti, corrispondenti al 72 % del traffico complessivo della Rete. Infine, per quel che riguarda i tablet, il 66 % di chi fa uso di iPad ha sottoscritto un abbonamento ad un giornale. Il mercato digitale oggi rappresenta il 10 % del fatturato degli editori tedeschi.
Si ricorda che il problema dell’indicizzazione degli articoli da parte del motore di ricerca ha recentemente determinato la fuoriuscita degli editori di giornali brasiliani – rappresentati dall’Associação Nacional De Jornais (Anj) – da Google News. “Google News beneficia commercialmente di contenuti di qualità e si oppone a qualsiasi forma di remunerazione. Stare con Google News non ci aiuta a crescere nel traffico digitale. Rimanere su Google non ci aumentava la visibilità online ma, al contrario, mostrare le prime righe dei nostri articoli riduceva la probabilità che i lettori andassero a leggere l’articolo completo”, ha sostenuto il Presidente dell’Anj, Carlos Fernando Lindenberg Neto. Hanno abbandonato Google News ben 154 editori, rappresentativi del 90 % dell’intera diffusione della stampa quotidiana e periodica in Brasile.
Google si difende dall’accusa, con la solita stranota tesi: che la presenza sul motore di ricerca Google News incrementa la diffusione delle notizie in rete, e quindi stimola il potenziale lettore ad acquistare i giornali, in edizione cartacea o meglio digitale.
Il fenomeno – nelle sue contrapposte interpretazioni – ha caratteristiche planetarie.
Esattamente come avvenuto per l’industria musicale, si registra però un diffuso e continuo, anno dopo anno, decremento del totale dei ricavi dell’industria dei giornali: una parte crescente dei ricavi deriva ormai dall’acquisto via internet, ma questo incremento non compensa il decremento di ricavi del business “materiale” (fisico). In sostanza, si assiste ad un trasferimento di ricchezza: dagli editori agli aggregatori. Con un piccolo dettaglio: gli editori investono in contenuti di qualità, gli aggregatori no. In economia, questo fenomeno si definisce “rendita parassitaria”.
In altri termini, internet sta determinando un processo continuo di depauperamento di queste industrie culturali, riducendo le chance di produrre contenuti di qualità. Sarà anche vero che internet moltiplica le chance di accesso universale a questi contenuti (con gran beneficio per la democrazia), ma impoverisce gli editori, i produttori di contenuto: ciò vale per gli editori dei quotidiani e periodici, così come per i broadcaster televisivi.
In sintesi: le notizie (su internet) piacciono, ma non pagano (chi le produce). Altresì dicasi per altri contenuti di qualità, dalla musica all’audiovisivo.
Secondo alcuni, gli editori di Francia, Germania ed Italia puntano ad emulare quel che avviene nel Regno Unito, ove la Newspaper Licensing Agency ha iniziato a chiedere soldi agli aggregatori di notizie, per la consultazione degli estratti online degli articoli a pagamento dei quotidiani. La differenza però è che in Germania ed anche in Francia si sta pensando di farsi pagare una commissione non solo sui servizi che gli editori offrono in abbonamento, ma anche per quelli gratuiti rilevati da Google.
L’iniziativa degli editori francesi e tedeschi è sostenuta dai rispettivi Governi: la Merkel ha fatto propria la battaglia degli editori, perché la ritiene giusta, per preservare l’occupazione ed una ricchezza materiale ed immateriale del Paese; anche la Ministro francese all’Innovazione e all’Economia digitale, Fleur Pellerin, che ha dichiarato che questa “guerra contro gli aggregatori” va combattuta tutti insieme in sede europea.
Per quanto riguarda l’Italia, non si registra alcuna presa di posizione da parte dell’Esecutivo Monti. Che, notoriamente, in materia di politiche culturali ed economie mediali, assume da mesi atteggiamenti alla Ponzio Pilato.
Si ricordi che a metà gennaio 2011 l’Autorità Antitrust italiana concluse l’indagine avviata nel 2009 contro Google per abuso di posizione dominante. Google assunse una serie di impegni, che avrebbero dovuto evitare rischi di distorsioni concorrenziali derivanti da una posizione passiva dell’editore a fronte dell’attività d’indicizzazione e dalla mancanza di trasparenza nella contrattazione con Google. Dichiarò in quell’occasione l’allora Presidente della Fieg Carlo Malinconico: “Gli impegni assunti da Google modificano a livello mondiale alcune politiche editoriali e commerciali collegate ai servizi Google News e AdSense, in una ottica di maggiore trasparenza e collaborazione. Si tratta di una prima risposta, cui deve seguire, come osserva la stessa Autorità, l’intervento del legislatore, per regolare la remunerazione dell’attività delle imprese che producono contenuti editoriali online, a fronte dello sfruttamento economico delle proprie opere da parte di altri soggetti. Occorre dunque una legge nazionale per superare l’oggettivo squilibrio, rilevato dall’Autorità, tra il valore che la produzione di contenuti editoriali genera per il sistema di internet nel suo complesso e i ricavi che gli editori online sono in grado di percepire dallo sfruttamento stesso”.  Aggiungeva il Presidente della Fieg: “Nel contempo, la Fieg guarda con estremo interesse alle iniziative che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni potrà assumere a tutela del diritto d’autore”. Fatto è che, a distanza di quasi due anni, nessun segno di intervento è venuto dall’Agcom. Ad inizio ottobre 2012, in occasione di un convegno promosso da Confindustria Culturale, il Sottosegretario Peluffo ha sostenuto: “Rinnovo l’invito alla nuova Agcom, che già avevo rivolto al precedente Consiglio, di approvare rapidamente il regolamento contro la pirateria”. Dall’Agcom, per ora, tutto tace. Anche se a distanza di qualche giorno il Commissario Preto ha dichiarato: “In questo nuovo scenario, riveste dunque sempre maggiore importanza il diritto d’autore su internet. La tutela della proprietà intellettuale sul web non può essere un tabù, ma deve essere un volano per l’innovazione, per lo sviluppo dei contenuti legali e per l’economia del settore. Non vogliamo mettere il bavaglio al popolo della rete, ma garantire il rispetto dei diritti e delle regole. La rete non è terra di nessuno. (…) In questa direzione, l’enforcement dell’Agcom deve essere ispirato ai principi di proporzionalità, efficacia e celerità”. Bene. Si attende fiduciosi.
Nei giorni successivi alla levata di scudi, il Presidente francese Hollande ha incontrato il Ceo di Google, Schmidt, lasciando comprendere che entro l’anno si dovrà trovare una soluzione, e che, se Google non inizierà una trattativa con gli editori, interverrà il governo. Non tutti però si trovano d’accordo. I siti web di informazione che non dipendono da giornali e periodici o grandi gruppi editoriali si sono costituiti nella Spiil (Associazione della Stampa Online), e non condividono l’introduzione di una tassa, ritenuta una scelta errata e poco lungimirante sul lungo periodo, perché rischierebbe di portare alla riduzione del pluralismo informativo. Piuttosto,la Spiilritiene che Google dovrebbe pagare pienamente le imposte sugli utili, che, come molti ben sanno (e come abbiamo segnalato anche su questo blog), “Big G” evita, operando dall’Irlanda.
Dal canto suo, a minaccia, Google risponde con altra minaccia, ovvero quella di smettere di indicizzare gli articoli dei media francesi (in altri termini: “cancelleremo i link ai siti dei giornali”), proprio come è successo recentemente in Brasile.
Il Governo francese sembra però molto agguerrito: soprattutto il Ministro alla Cultura, Aurélie Filippetti, che gestisce il dossier, non sembra disposta a cedere. Il braccio di ferro è soltanto iniziato. Google risponde che non può accettare una misura del genere, che “mette in dubbio la sua stessa esistenza”.
Ci auguriamo che, al di là della onnipresente retorica dell’“internet magico”, finalmente si possa, in modo semplice quanto concreto, tornare a comprendere che le notizie sui giornali sono frutto del lavoro di qualcuno e, in quanto tali, prodotti che vanno pagati da chi li consuma. Come un romanzo. Come la musica registrata. Come un film. Come una fiction tv. Eccetera. Il “mito della manna” internettiana va sfatato. È urgente definire un sistema moderno dei diritti di proprietà intellettuale.
Non esistono ancora dati incontroverbili (anche per la perdurante assenza di trasparenza dell’economia di Google), ma secondo alcuni analisti, nel 2012 Google supererà Rai nella raccolta pubblicitaria. A fine settembre, in un convegno, Antonio Pilati (consigliere di amministrazione Rai, già consigliere dell’Agcom e dell’Agcm) ha sostenuto che “Google è ormai il secondo operatore di pubblicità in Italia. Ha superato la Rai ed è alle spalle solo di Publitalia”.
Si ricordi anche che, nello scorso luglio, Fabio Vaccarono ha lasciato Manzoni Advertising, concessionaria di pubblicità de L’Espresso-Repubblica, per diventare Country Manager di Google Italia: un’ulteriore conferma della vocazione alla crescita del gigante dei motori di ricerca nel business dell’advertising italiano.
Vedremo quali saranno gli esiti di questa vicenda, delicata e strategica, e certamente torneremo presto a scriverne su queste colonne.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E. ) 2 novembre 2012