Google accusata (anche in Usa) di abuso di posizione dominante nel business del “search”

È evidente che il colosso di Mountain Views è ormai nell’occhio del mirino, e quella che è stata finora una sua politica (istituzionali e commerciale) “low profile” sembra non funzionare più, perché le sue attività vengono ormai prese di mira da una pluralità di punti di vista: dal pluralismo comunicativo alla concentrazione economica (e tralasciamo le vicende sulle agevolazioni fiscali della sua “residenza” europea in Irlanda). Anche in patria, non vive esattamente una stagione cheta: la Federal Trade Commission americana sembra voler mettere alle strette Google. L’accusa è quella di “abuso di posizione dominante” nel mercato dei motori di ricerca (e dell’advertising), aggravata dall’ipotesi di sfruttamento illegale del proprio know-how per danneggiare i “competitor”.

Dopo 16 mesi di “osservazione”, ovvero di investigazione nel business della ricerca e dell’advertising di “Big G”, il lavoro della Federal Trade Commission si avvia alla conclusione: il verdetto, ormai prossimo, potrebbe arrivare tra novembre e dicembre.

Sulla base di dichiarazioni rilasciate alla Reuters, quattro dei cinque Commissari dell’Antitrust americano sarebbero concordi nel giudicare Google “colpevole”; uno soltanto continua a dichiararsi scettico in argomento.

Chiare smentite da parte di Eric Shmidt, Chairman di Google, che rifiuta l’accusa di manipolazione di dati per favorire i propri prodotti.

La Federal Trade Commission, in particolare, sta valutando il modo in cui il Gigante ha agito nel settore dei viaggi online, dove sembra assodato che il gruppo abbia danneggiato competitor come Nextag e Yalp, posizionandoli in un ranking di ricerca di qualità molto bassa.

Una volta che la Ftc avrà preso la sua posizione, “Big G” dovrà trovare una “soluzione” per non incappare in sanzioni pesanti  e trovarsi costretto a modificare il proprio “business model”. Più precisamente, nel caso l’Antitrust statunitense confermasse le proprie accuse, il gigante di Mountain View avrebbe soltanto 2 opzioni: cercare di trovare un accordo, come ha fatto con la Commissione Europea, o prepararsi ad una lunga battaglia legale. Entrambe peraltro, discretamente onerose.

Si ricorda che un’indagine simile è stata condotta anche dall’Antitrust europeo nel 2010.

Sul fronte europeo, l’attenzione sembra essere attualmente concentrata sui deficit che Google mostra in materia di “privacy”: secondo i Garanti dell’Unione Europea, le nuove regole sulla privacy decise da Google non sarebbero adeguate a tutelare gli utenti europei. Le procedure di Google sembrerebbero non essere conformi alla Direttiva sulla protezione dei dati personali le nuove regole del marzo 2012. La nuova “privacy policy”, adottata unilateralmente da Google, consente al gruppo di incrociare in via generalizzata i dati degli utenti che utilizzano qualsiasi servizio (da Gmail a YouTube a Google Maps).  Questa attività di “combinazione” dei dati determina rischi seri per la privacy degli utenti europei. Torneremo anche su questa delicata tematica.

 ( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E.) 17 ottobre 2012

 

La “survey” sperimentale di Aliprandi

Alcuni giorni fa sono stati pubblicati i risultati emersi dalla “survey” che l’avvocato Simone Aliprandi ha condotto nel 2011 per la sua tesi di dottorato, dal titolo “Il diritto d’autore nell’era digitale: comportamenti, percezione sociale e livello di consapevolezza”. La metodologia utilizzata è stata quella del questionario online (aperto per 120 giorni, dal 1° febbraio al 1° giugno e disponibile sia in italiano che in inglese) con metodo “Cawi” (Computer Assisted Web Interviewing). Nell’ambito del suo studio, suddiviso in due sezioni, una dedicata all’Italia de una al resto del mondo, Aliprandi ha intervistato circa 1.800 soggetti (1.300 per l’Italia e 500 per  il resto del mondo). L’intento del promotore, come egli stesso dichiara, è stato l’avvio di un’analisi preliminare e sperimentale su come il tema del diritto d’autore nell’era digitale possa essere studiato e approfondito con strumenti più tipicamente sociologici e non strettamente giuridici o economici. Una sorta di “progetto pilota”.
Il questionario ha messo a fuoco 3 importanti macro-aree di indagine:
-       I comportamenti più comuni tra gli utenti della rete;
-       La percezione degli utenti del web rispetto al problema “diritto d’autore”;
-       Il livello di consapevolezza ed informazione degli internauti sui meccanismi e principi alla base del diritto d’autore.
Si segnala che Aliprandi ha deciso di mettere a disposizione il suo studio in modalità “open” con licenze Creative Commons.
In questa sede, abbiamo deciso di concentrarci sulla sezione italiana dello studio, i cui risultati offrono interessanti spunti di riflessione. Si segnala che i “rispondenti” per l’Italia si collocano, per quasi l’80 % nella fascia 18-44 anni, con un livello di scolarizzazione medio-alto.
Emerge il deficit di percezione che ancora permane nel nostro Paese circa la difesa del copyright. Chi scarica illegalmente, non percepisce un senso di colpa per il tipo di azione illegale che commette; il downloading illegale di programmi, contenuti, opere musicali non viene equiparato al furto degli stessi prodotti su supporto fisico e, soprattutto, benché molti riconoscano la pratica dello “scaricamento”come illegale, la maggior parte di loro la considera comunque “socialmente accettata / accettabile”. Il problema probabilmente risiede proprio in questo tipo di percezione, anche alla luce dell’osservazione che la maggior parte di coloro che hanno compilato il questionario non comprende che scaricare illegalmente contenuti creativi danneggi l’industria nel suo complesso, ma credono arrechi danni soltanto le società che producono e vendono queste opere.

Per un approfondimento http://copyrightsurvey.blogspot.it/

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – E.) 16 ottobre 2012

Google/Youtube – due nuove decisioni in Francia

Sulla fine del mese di settembre, la Court de Cassation, organo supremo della giurisdizione Francese ha reso due importanti sentenze in tema di protezione del Diritto d’Autore Online.
Dette sentenze hanno riguardato due separati aspetti della continua lotta all’illegittima pubblicazione di opere dell’ingegno in rete.
- In un primo caso, la Cassazione Francese ha stabilito che, quando per un contenuto illegittimamente pubblicato sia già stata effettuata una segnalazione (ed una conseguente procedura di rimozione), l’host provider (e dunque a Google/Youtube) non può essere ritenuto responsabile se il contenuto in questione viene nuovamente caricato illegittimamente sui suoi server, ma spetta al titolare dei diritti l’onere di segnalare nuovamente la presenza del contenuto di cui chiede la rimozione; in questo, la Corte ha ribaltato quanto era stato statuito dalla Corte d’Appello, che aveva ritenuto sufficiente una sola segnalazione per contenuto, ma così facendo indirettamente chiamava in causa un obbligo di sorveglianza per Google, a che uno specifico video rimosso non venisse più caricato su Youtube.
- Nel secondo caso, Google è stata invece ritenuta responsabile per non aver rimosso dalla propria lista di parole automaticamente “suggerite” in fase di ricerca (la c.d. funzione di auto-completamento) termini che facilitano la ricerca di materiale piratato (es. torrent,megaupload, rapidshare, e simili); ribaltando le conclusioni dei giudicanti di prima e seconda istanza, la suprema Corte Francese ha stabilito che “il servizio di comunicazioni elettroniche accessibile al pubblico offerto da Google sistematicamente spinge gli utenti di internet, tramite specifiche parole chiave suggerite, verso siti internet che contengono registrazioni rese disponibili al pubblico senza l’autorizzazione dei rispettivi artisti/autori/esecutori o delle loro etichette discografiche, facilitando l’infrazione del diritto d’autore”.

La prima della due sentenze della Court de Cassation si allinea alle più recenti osservate a livello europeo, confermando che, anche secondo l’interpretazione Francese, l’host provider è mere conduit, e non sembra essere destinatario di un obbligo di vigilare su ciò che i suoi utenti pubblicano online, ma deve operarne una pronta rimozione, una volta a ciò richiesto dai titolari dei diritti.
Per ciò che riguarda la seconda sentenza, il punto più evidente è che, a dispetto degli annunci di qualche mese fa, Google non sembra ancora avere ripulito la propria funzione di autocompletamento da termini che incoraggiano e/o facilitano la ricerca di materiale pirata.

( a cura della Redazione di Italiaudiovisiva – G. ) 9 ottobre 2012